Laurus nobilis L.
(a cura di Giuseppe Laino)
Etimologia: il nome del genere è stato attribuito alla pianta dai latini. Si pensa che Laurus sia una corruzione derivante da "laudaturus", dalla radice del verbo laudare = lodare, con riferimento alle tante proprietà curative della pianta note anche in antichità. I greci chiamavano la pianta dáphne per la leggenda secondo la quale la ninfa Daphne fu mutata in alloro per far sì che sfuggisse ad Apollo (vedi oltre). Entrambi i nomi si ritrovano con varie declinazioni nelle forme dialettali della penisola (vedi oltre); nobilis = conosciuto, celebre, famoso, illustre, di buona qualità, eccellente, ottimo, ecc. (tutti aggettivi a sottolineare la notorietà della pianta).
Sinonimi: nessuno.
Nomi volgari: Alloro, Lauro (italiano). Liguria: Anfoegiu, Arfogelu, Aufoegiu, Offoegiu. Orfoegiu, Onfoegiu (Genova); Argufoeggiu (S. Stefano d'Aveto), Argufoegliu (Cipressa), Auribaga (Bordighera, Mortola), Murtiribaga (Ceriana), Oeriabaga (San Remo), Oeriofoejo, Oribà, Romolino (Porto Maurizio), Oeriufoegiu (Valle d'Arroscia), Ofoggiu (Sosaigua), Orfoglu (Sarzana), Oribaga (Finale), Oufoeggiu (Campegli), Uibà (Albenga), Urfoeggiu (Rivarolo), Uribaga (Pigna). Piemonte: Laur, Laur real; Lau (Cuneo), Lavar (Novara). Lombardia: Laoro, Laur, Robagher, Robagot (Brescia); Oiro (Como); Orbaga (Milano); Orengh (Valle Camonica); Orio (Valtellina). Veneto: Lavrano (Venezia); Orara, Oraro (Vicenza); Orer (Treviso); Slaverno (Pirano); Aloro, Violoro (Verona). Friuli: Aurar, Orar. Emilia-Romagna: M'lori; Allor, Laver, Laver da grassoo, M'loa (Reggio); Laver, Lavro (Modena); Lavor, Lever (Piacenza). Toscana: Allauro, Lauro, Orbano. Marche: Melauro. Umbria: Allinoro (Perugia). Lazio: Onoro. Abruzzi: Laure, Lore; Lauru (L'Aquila); Melauro (Chieti). Campania: Dafina, Lauriello, Lauru, Nafria (Napoli); Odorgo (Avellino). Puglia: Dafinea, Dafni, Dafinia, Dafnea (Otranto); Loro, Luritu (Lecce). Calabria: Alafraro, Dafinia, Dafne, Nafria, Nofro, Ofro; Dafli, Dafni (Bova); Naffia (Gerace); Naffra, Nefinaru (Mammola). Sardegna: Alaru, Labru, Larù, Latiu, Lau, Lauru, Lavru; Agliou (Alghero); Loro (Sassari). Sicilia: Addauru.
Forma biologica e di crescita: fanerofita sempreverde.
Tipo corologico: Europa meridionale e bacino del Mediterraneo in senso ampio, in quanto è difficile risalire con precisione all'areale originario per via dell'intensa coltivazione che se ne è fatta fin dai tempi più remoti. Distribuito dalla Spagna e dal Marocco alla Tunisia, alla Cirenaica, al Medio Oriente fino al Caucaso; quindi dalla Turchia alla Penisola Balcanica, all'Italia, alla Provenza, Guascogna e Bretagna. Lungo le coste atlantiche si spinge, come avventizia, fino all'Irlanda meridionale.
Fenologia: fiore: III-IV, frutto: V-VI, maturazione: IX-X, diaspora: IX-III.
Limiti altitudinali: dal piano a 600 m di altitudine, in Sicilia (Iblei) eccezionalmente fino a 1000 m, nell'area di Monte Lauro, presso Buccheri.
Abbondanza relativa e distribuzione geografica in Italia: presente in tutte le regioni d'Italia, dalla pianura alle zone collinari, largamente coltivata, soprattutto per siepi e bordure, dato che sopporta bene i tagli di formazione. Essendo abbondantemente disseminata dai merli, risulta spontaneizzata in parchi, aiuole cittadine, giardini, lungo i corsi d'acqua, ecc. Allo stato spontaneo è specie piuttosto rara, circoscritta a nuclei boschivi residuali concentrati nelle zone centro-meridionali della penisola, soprattutto lungo il versante tirrenico. La diffusione spontanea in condizioni naturali, limitata ad avvallamenti freschi o comunque a luoghi esposti a notevole condensazione di umidità atmosferica, ha fatto individuare in passato uno specifico tipo di macchia: la macchia ad alloro o Lauretum (Pavari, 1916; De Philippis 1937). Boschetti di lauro si incontrano anche lungo l'area prealpina, in particolar modo attorno ai grandi laghi. Senza dubbio, se si tratta di specie introdotta, essa lo fu in tempi molto antichi, dato che furono ritrovate filliti della specie risalenti a 9.000 anni fa nei sedimenti torbosi di Cadenabbia (Baltzer & Fischer, 1890). Con riferimento al bacino benacense, numerosi botanici lo ritengono spontaneo quanto meno lungo la sponda occidentale, ove la specie è perfettamente acclimatata e ben diffusa, con una connotazione ecologica ben precisa, prediligendo i suoli derivati da calcari marnosi stratificati (Scaglia). A tal proposito, scriveva il Bèguinot (1924) "[…] da tutti i dati in mio possesso mi sono fatto la convinzione che l'alloro si debba considerare come introdotto nel veronese, laddove non sono alieno dal ritenerlo indigeno sulla costa bresciana […]".
Habitus: albero sempreverde che raggiunge i 15-20 m di altezza, con chioma piramidale-arrotondata, verde scuro e densa. Il tronco, inizialmente diritto, che tende col tempo a diventare un po' obliquo e nodoso, spesso non è unico, ma si presenta diviso fin dalla base in più tronchi uguali arcuato-ascendenti. La corteccia è liscia, verde nel primo anno di crescita, poi grigio chiaro, con lenticelle allungate longitudianalmente. In esemplari annosi, il tronco assume colorazione bruno-grigiastra, opaca, scura, con screpolature longitudinali.
Foglie: persistenti, coriacee, alterne, ellittico-lanceolate, 2-4 x 6-12 cm, con apice acuto, margine intero, ondulato, e colorazione verde scuro lucido sulla pagina superiore, verde più chiaro e opaco sulla pagina inferiore. Stropicciate, emanano un gradevole aroma. Picciuoli arcuati, di 6-10 mm; lamina fogliare appressata al fusto nei germogli giovani, poi patente. Come molte Lauraceae, anche L. nobilis reca sulla pagina inferiore delle foglie, all'incrocio delle venature principali, piccoli domazi feltrosi, di solito colonizzati da acari, che in cambio del rifugio tengono la lamina fogliare pulita, nutrendosi di muffe, spore e detriti. Questo tipo di simbiosi è molto utile nelle zone tropicali, dove l'aria satura di umidità consente lo sviluppo di varie specie vegetali epifille, mentre nel caso di L. nobilis si tratta con ogni probabilità di un organo vestigiale.
Fiori: dioici, di colore giallastro, con diam. di 3-4 mm, riuniti in piccole ombrelle solitarie brevemente peduncolate (max 1 cm) e molto più corte della foglia alla cui ascella sono inseriti, involucrate da 2 o 3 squame ovate e caduche, semplici o composte le maschili, composte le femminili, con peduncolo glabro e pedicelli ed ombrellette tomentose. Fiori maschili con androceo composto di 8-12 stami ipogini a filamenti liberi, eretti, robusti e ghiandolosi al loro terzo medio ed antere a due logge, deiscenti per valve; inoltre un rudimento di carpello sterile. Fiori femminili con ovario supero, uniloculare, uniovulato, sormontato da uno stilo semplice a stimma bilobo e con un rudimento di androceo rappresentato da qualche stame sterile biglandoloso.
Frutto: drupa ovoide, prima verde, poi nera e lucida a maturazione, della dimensione e della forma di una piccola oliva (8-12 x 6-10 mm).
Semi: ovoidi, (6-10 x 4-8 mm), con tegumento papiraceo bruno-nerastro che avvolge due cotiledoni giallastri, ricchi di sostanze oleose. disseminazione barocora o endozoocora, soprattutto ad opera di uccelli (in particolar modo i merli).
Polline: granuli sferici, con diametro medio di 38,7 (36-41) µm, privi di aperture. Esina echinata, sottile (fino a 1x1 µm), munita di spinule coniche piuttosto distanziate. Intina traslucida, omogeneamente spessa 3-4 µm. Impollinazione entomofila.
Numero cromosomico: 2n = 42, 48.
Sottospecie e/o varietà: piuttosto comuni in coltivazione sono Laurus nobilis L. var. angustifolia con foglie strette e lunghe; Laurus nobilis L. var. aurea con foglie tendenti al giallo. Data la notevole variabilità delle dimensioni delle foglie e dei frutti, in passato furono descritte un notevole numero di varietà, ormai in disuso. Un'ampia rassegna di queste viene riportata da Giacomini & Zaniboni (1946).
Habitat ed ecologia: boschi di clima mediterraneo-umido. Non tollera l'eccessiva aridità e non ha esigenze particolari in fatto di substrato.
Esemplari monumentali: un esemplare monumentale si può ammirare, in coltivazione, nel chiostro dell'abbazia di Piona presso Colico (Lecco).
Syntaxon (syntaxa) di riferimento: specie legata soprattutto alla classe Quercetea ilicis (per le coste atlantiche della penisola iberica è stata istituita l'alleanza Arbuto-unedonis-Laurion nobilis, dei Pistacio-Rhamnetalia alaterni). Si rinviene frequentemente anche nel sottobosco di formazioni a caducifoglie (Quercetalia pubescentis), anche ripariali (Populetalia albae, Platanion orientalis).
Life-strategy (sensu Grime et Co.): Stress tolleranti (S) + Competitive (C).
IUCN: nei popolamenti naturali, la specie si può considerare vulnerabile (VU). La vegetazione in cui entra a far parte come specie dominante costituisce un habitat prioritario ai sensi della Direttiva 92/43/CEE (codice: 5230* "Matorral arborescenti a Laurus nobilis").
Farmacopea: le foglie dell'alloro, stropicciate fra le dita, emanano un odore aromatico caratteristico; masticate, hanno un gusto amaro e un po' acre. Contengono un olio essenziale raccolto entro cellule isolate nel mesofillo, oltre a sostanze amare e tanniche. Si usano, oltre che come condimento, in infuso od in decotto, come stimolante nelle affezioni gastriche, reumatiche; negli stati adinamici, anche per la preparazione di bagni aromatici ed infine nella medicina popolare, come buon sudorifero e carminativo. I frutti contengono, oltre all'olio etereo caratteristico, anche una forte proporzione di olio grasso (25-30%), zuccheri, sostanze tanniche, gomme, ecc. Vengono utilizzati per bagni aromatici, preparati anche con le foglie, e soprattutto per l'estrazione, con spremitura a freddo, dell'olio o burro di alloro. Questa sostanza ha consistenza di unguento, di colore verde, odore caratteristico, sapore balsamico amaro, contiene lauro stearina, oleina, canfora ed olio essenziale di alloro: Viene impiegato per la preparazione di saponi ed entra (mescolato con grasso di maiale e di montone e con l'aggiunta di essenze di ginepro, sabina e trementina) nella preparazione dell'unguento laurino, usato nella cura popolare dei dolori e delle tumefazioni reumatiche e gottose, ma soprattutto per frizioni stimolanti nella pratica veterinaria. Da foglie, fiori e frutti si estraggono sesquiterpeni con azione citotossica e antitumorale (Barlaa et al. 2007). Le foglie, soprattutto le più giovani, contengono modiche quantità di glucosidi cianogenetici (affini all'amigadalina) che per idrolisi liberano acido cianidrico. Per questo motivo, in passato alcune foglie sminuzzate venivano poste a macerare sul fondo delle boccette impiegate durante le raccolte entomologiche.
Avversità: l'alloro è attaccato da parassiti animali: psilla del lauro (Triioza alacris) che provoca tipiche galle marginali alle foglie, di consistenza carnosa e colore bianco-giallastro o rossastro, con conseguente loro deformazione e caduta; cocciniglie infestanti i rametti: Aonidia lauri, Aspidiotus hederae, Eulecanium corni, Ceroplastes sinesis, ecc.; pseudococcidi infestanti i germogli (Pseudococcus spp.). Lo colpiscono, inoltre, agenti di malattia (funghi, batteri ed entità infettive): degenerazione degli organi legnosi e disseccamento dei rametti, dovuti alla tracheomicosi Verticillium albo-atrum; cancri rameali fungini da Sphaeropsis malorum; marciumi fungini del colletto e delle radici da Armillaria mellea e Rosellinia necatrix.
Miti e leggende: Poche piante vantano un posto di rilievo nella nostra tradizione culturale paragonabile a quello dell'alloro. Esso era l'albero sacro ad Apollo, e soltanto i grandi poeti, gli atleti vincitori, i generali vittoriosi e gli imperatori ne venivano incoronati. Anche nella tradizione accademica l'alloro ha un posto di rilievo: sin dal Medio Evo i neodottori ricevevano una corona ornata di bacche d'alloro, (bacca laurea), da cui derivano le parole "baccalaureato" e "laurea". Tanti riguardi sono certamente imputabili non soltanto all'innegabile bellezza ed al profumo dell'alloro, ma anche alla sua unicità: se si eccettuano due specie, Laurus canariensis e L. novocanariensis, relegate alle Azorre, Madeira, Canarie e Arcipelago di Capo Verde, quindi piuttosto ignote agli antichi, il genere Laurus comprende soltanto una specie, L. nobilis, ampiamente diffusa nell'Europa meridionale e nel Mediterraneo.
Una leggenda, eco di un culto preellenico, che aveva come teatro la valle di Tempe dove scorre il Peneo e da dove Apollo portò il lauro a Delfi, narra che un giorno Apollo, vedendo Eros che tendeva l'arco, si prese gioco di lui: "Che fai, divino fanciullo, con un'arma tanto possente? Questi sono carichi adatti ai miei omeri. Tu accontentati di accendere le passioni con la torcia e non attribuirti quel che mi spetta".
"Apollo, " gli risposte il fanciullo "le tue frecce trafiggono uomini e animali, ma le mie trafiggono te", e battendo le ali volò sul Parnaso per architettare la sua vendetta. Estrasse dalla faretra dal turcasso due frecce, l'una d'oro e dalla punta acuminata che accendeva la passione amorosa, l'altra di piombo e spuntata, che la impediva. Con la prima ferì Apollo trapassandolo fin nelle midolla, con la seconda trafisse la ninfa Dafne, figlia di Peneo, un fiume della Tessaglia, figlio a sua volta di Oceano e Teti. La fanciulla, imitando la casta Diana, rifiutava tutti i pretendenti che la chiedevano in sposa perché preferiva vivere libera correndo per i boschi. Spesso il padre le diceva: "Figlia, prendi marito, mi devi dei nipoti". Ma lei supplicava il genitore: "Concedimi, ti prego, di godere di una perpetua verginità. A Diana, suo padre l'ha concesso".
Ferito dal dardo d'oro, Apollo si gettò, ardendo di passione, all'inseguimento della ninfa che, raggiunta da quello di piombo, fuggiva per i boschi temendo di perdere la verginità. "Fermati" le urlava il dio "non sono un montanaro né un rozzo custode di greggi e armenti. Non sai a chi sfuggi. Giove è mio padre e io so quel che sarà, fu ed è". Non le concedeva requie ed era sul punto di afferrarla quando Dafne, esausta per quella corsa affannosa, implorò il padre Peneo: "Padre, aiutami! Se i fiumi hanno potere divino, liberami da queste sembianze, dammene delle altre".
Peneo la esaudì: un invincibile torpore invase il suo corpo: la pelle splendente si mutò in scorza sottile, le chiome in fronde, le braccia in rami, i piedi in radici e il volto nella cima di un alloro. Ma l'amore del dio era più veemente del sortilegio. Apollo poggiò la mano destra sul tronco dell'albero e sentì che sotto la corteccia il petto riluttante della ninfa continuava a palpitare, e ne stringeva appassionatamente i rami, abbracciandoli. "Se non puoi essermi sposa sarai almeno la mia pianta. O Dafne (lauro in greco), di te si orneranno per sempre i miei capelli, il turcasso e la cetra. E come il mio giovane capo biondeggia eternamente, così tu ti fregerai per sempre di verdissime foglie". Mentre parlava, la chioma dell'albero ondeggiando dolcemente sembrò cedere infine all'amore del dio.
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