(a cura di Giuseppe Laino)
Etimologia: l’epiteto del genere ha conservato la sua origine latina; non è però chiaro se esso derivi dall’aggettivo punicus = “cartaginese, punico, fenicio” (i Fenici, che importarono la pianta dall’Iran, furono probabilmente i primi coltivatori a Cartagine, per cui i Romani la credettero originaria di quei luoghi; Plinio chiamava la pianta anche malum punicum = “mela cartaginese”, presumibilmente equivocando sulla sua origine) o da puniceus = “purpureo, scarlatto” [Virgilio et al.] (con allusione al colore del frutto ma soprattutto dei fiori e dei semi); anche l’epiteto specifico granatum = “melograno” [Columella, Plinio] ha conservato la sua origine latina, dall’aggettivo granatus = “che ha molti grani” (con allusione ai numerosi semi del frutto).
Sinonimi: nessuno.
Nomi volgari: Melograno (italiano). Liguria: Balastei, Meigrana, Meigraniè, Migraniè; Bochi granarì, Pomu granaru (Sarzana); Megran (San Remo); Mei granà (Genova); Mergai (Mortola); Mergan (Cipriano); Mergran, Migran (Porto Maurizio). Piemonte: Pum granà; Mi granà (Cuneo). Veneto: Pom granar; Gramagnar, Gramagno, Magragnar, Magragno, Magranar (Verona); Malgaragno (Vicenza); Pom granà, Pomo ingranà (Treviso); Pomoin granà (Padova); Pon ingrana, Pongranà (Belluno). Friuli: Mel ingranad, Miluzz ingranat, Miluzzar ingranat. Lombardia: Pom granat; Pom granar (Mantova); Pomm granin, Pomm granà (Como). Emilia-Romagna: Maeilgranae (Bologna); Mel garnè, Melingarnè (Romagna); Pom granè (Parma); Pomm graner (Reggio). Toscana: Granata, Granato, Melagrano, Melo granato, Pomo granato. Campania: Granato servaggio. Basilicata: Gronuto (Potenza). Calabria: Granatara, Granatara servaggia; Rudi (Bova). Sicilia: Balaustu, Granata sarvaggia; Ranatu (Avola). Sardegna: Arenada, Arenara, Mela de Eranu, Mela de ranu, Melagranada, Melagrenada, Magrana (Alghero).
Forma biologica e di crescita: nanofanerofita caducifoglia.
Tipo corologico: Asia sudoccidentale (Iran), fino alle regioni himalayane. Da tempi remoti viene però coltivato nel bacino mediterraneo dove è comunissimo.
Fenologia: fiore: VI-X, frutto: IX-XI.
Sinonimi: nessuno.
Nomi volgari: Melograno (italiano). Liguria: Balastei, Meigrana, Meigraniè, Migraniè; Bochi granarì, Pomu granaru (Sarzana); Megran (San Remo); Mei granà (Genova); Mergai (Mortola); Mergan (Cipriano); Mergran, Migran (Porto Maurizio). Piemonte: Pum granà; Mi granà (Cuneo). Veneto: Pom granar; Gramagnar, Gramagno, Magragnar, Magragno, Magranar (Verona); Malgaragno (Vicenza); Pom granà, Pomo ingranà (Treviso); Pomoin granà (Padova); Pon ingrana, Pongranà (Belluno). Friuli: Mel ingranad, Miluzz ingranat, Miluzzar ingranat. Lombardia: Pom granat; Pom granar (Mantova); Pomm granin, Pomm granà (Como). Emilia-Romagna: Maeilgranae (Bologna); Mel garnè, Melingarnè (Romagna); Pom granè (Parma); Pomm graner (Reggio). Toscana: Granata, Granato, Melagrano, Melo granato, Pomo granato. Campania: Granato servaggio. Basilicata: Gronuto (Potenza). Calabria: Granatara, Granatara servaggia; Rudi (Bova). Sicilia: Balaustu, Granata sarvaggia; Ranatu (Avola). Sardegna: Arenada, Arenara, Mela de Eranu, Mela de ranu, Melagranada, Melagrenada, Magrana (Alghero).
Forma biologica e di crescita: nanofanerofita caducifoglia.
Tipo corologico: Asia sudoccidentale (Iran), fino alle regioni himalayane. Da tempi remoti viene però coltivato nel bacino mediterraneo dove è comunissimo.
Fenologia: fiore: VI-X, frutto: IX-XI.
Limiti altitudinali: dal piano fino a 800 m di altitudine.
Abbondanza relativa e distribuzione geografica in Italia: nel nostro Paese, importato in tempi antichissimi ma non determinabili con precisione, è diffuso soprattutto al Sud dove spesso è sfuggito alle coltivazioni e si è naturalizzato. E’ frequente nei parchi, nei giardini, negli orti, per le sue qualità estetiche date dai fiori vistosamente rossi e dai frutti.
Abbondanza relativa e distribuzione geografica in Italia: nel nostro Paese, importato in tempi antichissimi ma non determinabili con precisione, è diffuso soprattutto al Sud dove spesso è sfuggito alle coltivazioni e si è naturalizzato. E’ frequente nei parchi, nei giardini, negli orti, per le sue qualità estetiche date dai fiori vistosamente rossi e dai frutti.
Habitus: piccolo albero con altezza variabile tra i 2 e i 6 m, con tronco spesso contorto, molto ramificato, con rami glabri, angolosi e un po’ spinosi; la corteccia è rossiccia nei rami giovani, poi grigio cenere e screpolata nei rami più vecchi e sul tronco. Spesso si presenta come un grosso arbusto spinoso.
Foglie: semplici, opposte, un po’ coriacee, portate da un breve picciolo. La lamina è ovato lanceolata o lanceolata, con margine intero a volte un po’ sinuoso e apice arrotondato. Dapprima rossiccio rugginose, da adulte sono lucide, di colore verde chiaro, con nervatura centrale evidente, lunghe fino a 8 cm.
Fiore: ermafroditi, solitari o riuniti in gruppi di 2-3 alla sommità dei rami all’ascella delle foglie, sessili, grandi, larghi 2-4 cm, regolari, muniti di due brattee. Ricettacolo prolungato al di sopra dell’ovario in un cercine, sul margine del quale si inseriscono il perianzio e l’androceo; calice carnoso, rosso porporino, con il tubo saldato con l’ovario e il lembo diviso in 5-7 lobi coriacei, valvati, persistenti; corolla di 5-7 petali rosso scarlatti, obovati, embriciati, precocemente caduchi. Stami numerosi, in serie concentriche, con filamenti gracili, arcuati ed antere minute, giallo oro, deiscenti per il lungo; ovario infero, multiloculare, con logge disposte su due piani, 5 superiori, con ovuli a placentazione parietale, 3 inferiori, con ovuli a placentazione assiale.
Frutto: falsa bacca (balausto), globosa, larga 6-14 cm, coronata dal calice persistente, con pericarpo coriaceo, da giallo rossastro a bruno, diviso mediante sepimenti membranosi disuguali, in 7-15 logge contenenti i semi, disposte su due piani sovrapposti. A maturità si lacera liberando i semi, dispersi soprattutto dagli uccelli.
Semi: numerosi per ogni loggia, irregolarmente faccettati, legnosi, avvolti da un arillo rosso e succoso, larghi 2-3 mm.
Polline: granuli pollinici monadi, radiosimmetrici, isopolari; perimetro in visione polare: subtriangolari, goniotremi, in visione equatoriale: circolari 10%, subcircolari 54%, ovali 33%, ellittici 3%; forma: prolato sferoidali 64%, subprolati 33%, prolati 3%; trizonocolporati; aperture: ora, con annulus; colpi: fusiformi, con bordi irregolari; esina: subtectata, finemente reticolo-rugulata; dimensioni: asse polare 24 (22) 20 mµ, asse equatoriale 22 (20) 17. L’impollinazione è entomofila, soprattutto da parte delle api.
Foglie: semplici, opposte, un po’ coriacee, portate da un breve picciolo. La lamina è ovato lanceolata o lanceolata, con margine intero a volte un po’ sinuoso e apice arrotondato. Dapprima rossiccio rugginose, da adulte sono lucide, di colore verde chiaro, con nervatura centrale evidente, lunghe fino a 8 cm.
Fiore: ermafroditi, solitari o riuniti in gruppi di 2-3 alla sommità dei rami all’ascella delle foglie, sessili, grandi, larghi 2-4 cm, regolari, muniti di due brattee. Ricettacolo prolungato al di sopra dell’ovario in un cercine, sul margine del quale si inseriscono il perianzio e l’androceo; calice carnoso, rosso porporino, con il tubo saldato con l’ovario e il lembo diviso in 5-7 lobi coriacei, valvati, persistenti; corolla di 5-7 petali rosso scarlatti, obovati, embriciati, precocemente caduchi. Stami numerosi, in serie concentriche, con filamenti gracili, arcuati ed antere minute, giallo oro, deiscenti per il lungo; ovario infero, multiloculare, con logge disposte su due piani, 5 superiori, con ovuli a placentazione parietale, 3 inferiori, con ovuli a placentazione assiale.
Frutto: falsa bacca (balausto), globosa, larga 6-14 cm, coronata dal calice persistente, con pericarpo coriaceo, da giallo rossastro a bruno, diviso mediante sepimenti membranosi disuguali, in 7-15 logge contenenti i semi, disposte su due piani sovrapposti. A maturità si lacera liberando i semi, dispersi soprattutto dagli uccelli.
Semi: numerosi per ogni loggia, irregolarmente faccettati, legnosi, avvolti da un arillo rosso e succoso, larghi 2-3 mm.
Polline: granuli pollinici monadi, radiosimmetrici, isopolari; perimetro in visione polare: subtriangolari, goniotremi, in visione equatoriale: circolari 10%, subcircolari 54%, ovali 33%, ellittici 3%; forma: prolato sferoidali 64%, subprolati 33%, prolati 3%; trizonocolporati; aperture: ora, con annulus; colpi: fusiformi, con bordi irregolari; esina: subtectata, finemente reticolo-rugulata; dimensioni: asse polare 24 (22) 20 mµ, asse equatoriale 22 (20) 17. L’impollinazione è entomofila, soprattutto da parte delle api.
Numero cromosomico: 2n = 16, 18.
Sottospecie e/o varietà: in coltura ne esistono diverse varietà. Tra le varietà da frutto le più apprezzate sono la “Alappia dolce” e la “Alappia a dente di cavallo”, la “Acid” e la “Subacid”, e la “Wonderful”. Le varietà migliori sono tuttavia considerate quelle che vengono dall’Afghanistan.
Tra le varietà ornamentali da fiore e da frutto la “Nana”, che, di taglia ridotta (difficilmente supera il metro di altezza), si adatta alla coltivazione all’esterno in tutte le zone a clima mite (la pianta adulta resiste anche a sporadiche gelate) o in locali molto luminosi e arieggiati, producendo piccoli fiori, generalmente rossi e piccoli frutti sempre rossastri; la “Scarlet Devil”, alta circa 1,20 m, a fiori semplici arancio rossiccio durante l’estate e piccoli frutti globosi giallo intenso in autunno.
Tra le varietà da fiore (a fiore doppio, che non producono frutti) sono da segnalare la “Alboplena” a fiori bianco panna; la “Florepleno” detta anche “Rubropleno” a fiori rosso arancio; la “Nana” o “Gracillima” che non in genere non supera i 20 cm di altezza e produce numerosi fiori; la “Nana Plena”, alta circa 90 cm, a portamento compatto e con fiori arancio scarlatto prodotti durante l’estate; la “Screziata”, a fiori doppi bianchi e rossi; la “Nana Racemosa”, a fiori doppi rosso granata; la “Legrellei”, a fiori doppi striati; la ”Flavescens”, a fiori gialli e foglie verde pallido
Tra le varietà ornamentali da fiore e da frutto la “Nana”, che, di taglia ridotta (difficilmente supera il metro di altezza), si adatta alla coltivazione all’esterno in tutte le zone a clima mite (la pianta adulta resiste anche a sporadiche gelate) o in locali molto luminosi e arieggiati, producendo piccoli fiori, generalmente rossi e piccoli frutti sempre rossastri; la “Scarlet Devil”, alta circa 1,20 m, a fiori semplici arancio rossiccio durante l’estate e piccoli frutti globosi giallo intenso in autunno.
Tra le varietà da fiore (a fiore doppio, che non producono frutti) sono da segnalare la “Alboplena” a fiori bianco panna; la “Florepleno” detta anche “Rubropleno” a fiori rosso arancio; la “Nana” o “Gracillima” che non in genere non supera i 20 cm di altezza e produce numerosi fiori; la “Nana Plena”, alta circa 90 cm, a portamento compatto e con fiori arancio scarlatto prodotti durante l’estate; la “Screziata”, a fiori doppi bianchi e rossi; la “Nana Racemosa”, a fiori doppi rosso granata; la “Legrellei”, a fiori doppi striati; la ”Flavescens”, a fiori gialli e foglie verde pallido
Habitat ed ecologia: pianta arbustiva tipica degli areali temperati mediterranei, dove fa parte della macchia. Predilige ambienti caldo temperati anche se manifesta una discreta resistenza al freddo. E’ pianta eliofila da esposizione in pieno sole. Si adatta a molti tipi di substrato tollerando bbene anche quelli calcarei. Evidenzia inoltre una buona resistenza alla siccità..
Syntaxon (syntaxa) di riferimento: Pistacio-Rhamnetalia alaterni.
Life-strategy (sensu Grime & Co.): Stress tolleranti (S).
IUCN: N.A..
Farmacopea: la droga è costituita dalla corteccia della radice, che si estrae dal terreno in autunno e conservata allo stato semifresco nella sabbia, ma viene più generalmente seccata, il più rapidamente possibile, all’aria ed all’ombra. In commercio si trova sotto forma di frammenti (6-12 cm x 1-4 cm), o di strisce dello spessore di un paio di millimetri, ed è quindi sottile, più o meno incurvata, esternamente rugosa, verrucosa, fessurata, di colore grigio giallastro, internamente liscia o finemente striata in senso longitudinale e di colore fulvo, con margini per lo più tagliati a sghembo, frattura netta, granulare, giallo brunastra, fatta eccezione per lo strato suberoso che è bruno, con odore debole e sapore astringente, acerbo, non amaro; masticata, colora la saliva di giallo. La polvere è giallastra e contiene granuli d’amido e cellule con cristalli stellati di ossalato di calcio.
La corteccia della radice di Melograno contiene parecchi alcaloidi (pelletierina, isopelletierina, pseudo-pelletierina, metilpelletierina) acido granato tannico ed ellagico, sostanze resinose e pectiche, mannite, amido, ecc. Essa agisce paralizzando, non uccidendo, i platelminti (Taenia, Botriocephalus); deve questa sua caratteristica proprietà ai primi due alcaloidi citati e si usa preferibilmente in macerazioni di scorza secca facendola seguire da un energico purgante per espellere il parassita intorpidito, ciò che può ottenersi nel giro di 4-5 ore. Si è tentato di sostituire all’infuso che, anche edulcorato ed aromatizzato con menta, è molto disgustoso, l’estratto alcoolico della corteccia, che è però meno energico; l’alcaloide pelletierina è difficile a sciogliersi, sia nell’acqua che nell’alcool.
Le stesse proprietà della corteccia radicale sono offerte anche da quella dei rami e del tronco e dalla buccia del frutto, ma in grado meno accentuato; e sembra anche che la varietà di melograno a fiori bianchi eserciti un’azione più efficace di quella comune a fiori scarlatti.
I fiori, che contengono tannino e colorano la saliva di violetto, sono usati per la preparazione di pozioni astringenti; ed allo stesso scopo vengono impiegate la corteccia e la radice, particolarmente nei casi di emorragie vaginali ed intestinali.
Delle proprietà vermifughe del Melograno parlava anche Catone.
Avversità: le avversità più frequenti del Melograno sono i parassiti animali: afidi infestanti la vegetazione (A. fabae, A. gossypii ecc.); Metcalfa pruinosa che imbratta e infesta i germogli; l’imenottero apide Megachile sp che “taglia” i margini fogliari per utilizzarne i residui fogliari nella costruzione del nido; cocciniglie infestanti la vegetazione e gli organi legnosi (Ceroplastes sp, Planococcus sp ecc.). Agenti di malattia (funghi, batteri ed entità infettive): marciumi radicali fungini da Phymatotrichum omnivorum e Armillaria mellea; maculature necrotiche dei frutti e delle foglie dai funghi Sphaceloma punicae e Mycosphaerella lythracearum; marciumi fungini dei frutti da Botrytis, Alternaria, Aspergillus e Penicillium.
Usi: i semi, oltre ad essere di consumo molto gradevole, servono anche a preparare sciroppi utilizzati dall’industria farmaceutica come correttivi del sapore; se ne produce, inoltre, una bevanda acidula e dissetante, la granatina, sfruttandone gli antociani di cui sono ricchi per combattere i radicali liberi. La buccia dei frutti acerbi, fortemente tannica, è usata per estrarre una tintura rossa per la concia di quel particolare tipo di pelle che va sotto il nome di “marocchino” e per la colorazione dei tappeti orientali. Fino a un recente passato dal pericarpo del frutto si estraeva un ottimo inchiostro.
Cenni storici e curiosità: la pianta del Melograno è tanto bella che gli antichi la caricarono di simboli e di sogni, facendone uno dei misteri della natura; la nominarono nei poemi, la dipinsero sui vasi, sulle stoffe, la intagliarono nel legno e nel metallo. E’ pianta antichissima che risale al Pliocene e che si è naturalizzata nel nostro mondo in età molto remota. Sembra abbia avuto origine in Persia e si trovi spontaneo nelle località rocciose dell’Afghanistan. Ne esistono raffigurazioni in tombe egiziane che risalgono al 2500 a.C. e il suo frutto è nominato anche in papiri dell’epoca di Tuthmosis I (1547 a.C.) e di Amenofi IV (1375 a.C.); nelle camere sepolcrali di Ramsete IV sono stati trovati degli autentici frutti di Melograno seccati.
Molti sono i riferimenti al Melograno nel Vecchio Testamento, soprattutto frequenti nel Cantico dei Cantici. Dice l’amante: “come uno spicchio di Melograno le tue guance sotto il tuo velo” (4, 3; 6, 7), “i tuoi germogli formano un giardino di Melograni, con frutti squisitissimi” (4, 13), “ti offrirei vino profumato, di mosto dolcissimo del mio Melograno” (8, 12) e come risulta da quest’ultima citazione, l’uso ebraico di ricavare un “mosto” dal Melograno, ossia un liquore molto pregiato, è antichissimo.
Il Melograno, per gli Arabi, era una pianta importante, tanto che contribuirono alla sua diffusione anche in Spagna, dove la città di Granata prese il nome dal frutto (e non viceversa, come erroneamente si crede) e aggiunse il simbolo del melograno al proprio stemma.
Non si sa quando il Melograno fece la sua comparsa in giardino come pianta ornamentale. Turner ci dice che, in Inghilterra, nel 1548 veniva coltivato nel giardino del duca di Somerset a Syon House, ma è probabile che fosse precedentemente coltivato da alcune comunità monastiche per le sue virtù medicinali. Prima del 1618 John Tradescant ne introdusse in Inghilterra dal continente una varietà a fiori “grandi come una rosa doppia della Provenza”, cremisi. All’inizio del 1800 e anche più indietro nel tempo, è diventato un albero campagnolo (come il Giuggiolo); forse uno dei pochi che il contadino si è concesso per il piacere di vederlo fiorito più che per il gusto dei suoi frutti.
Il Melograno nella Cristianità: nel Santuario di Santa Maria del Granato a Capaccio Vecchio, in provincia di Salerno, si venera una Vergine col Bambin Gesù che tiene nella mano destra una melagrana, quasi fosse uno scettro: è la “Madonna del Granato”. Si suppone che Essa sia la Vergine che con le sacre nozze si trasforma nella genitrice del Figlio, apportatore di fecondità spirituale a tutta l’umanità e Amore misericordioso donato agli uomini ai quali offre i chicchi di salvezza, ovvero “la moltitudine di effetti e di provvidenze meravigliose di Dio”, secondo le parole di san Giovanni della Croce.
Spesso nell’iconografia medievale e rinascimentale è Gesù Bambino a reggere la melagrana, a significare sia l’Amore che si dona sia il Sacrificio sulla croce che, come il chicco seminato sulla terra, maturerà fino a trasformarsi con la resurrezione nel frutto della Redenzione, pegno a sua volta di resurrezione per tutti gli uomini di buona volontà nella luce del Cristo.
Nella “Madonna della melagrana” del Botticelli il frutto aperto con la pienezza dei suoi chicchi è sostenuto da una mano della Madonna. Il Figlio vi appoggia la sinistra e con la destra benedice. Quella melagrana può significare contemporaneamente, come succede d’altronde per ogni oggetto simbolico, l’Amore misericordioso pegno di resurrezione, la Fondazione della Chiesa in cui sono riuniti tutti i popoli della Terra con le loro tradizioni e infine la Ricchezza insondabile dei misteri divini.
Miti e simbologia: la melagrana, ai nostri giorni, è stato a volte assunto come simbolo della democrazia, per i suoi molti semi che sono la parte valida, e l’inutile corona. Sembra però che l’inutile corona sia servita di modello a Salomone per la sua.
Molte divinità greche sono state rappresentate con una melagrana. Nel museo di Paestum (Salerno) è conservata una statua arcaica, probabilmente del VII secolo a.C., che raffigura la dea Era con un bimbo in braccio nell’atteggiamento della kourotrófos, ossia di “colei che nutre”, che regge la melagrana nella destra. Anche Atena, protettrice della città di Atene nella sua funzione di divinità vittoriosa, è stata ritratta con questo simbolo vegetale, oltre ad Afrodite, nell’isola di Cipro, dove secondo un mito avrebbe piantato per la prima volta l’albero, e infine Core-Persefone, Signora degli Inferi e delle piante.
Secondo un mito greco il primo Melograno nacque dalle gocce di sangue di Dioniso. Quando uscì dal rifugio che era stata la coscia del padre Zeus, il piccolo fu catturato dai Titani che, ispirati dalla gelosissima Era, lo fecero a pezzi e lo misero a bollire in un paiolo. Dal sangue che si era sparso spuntò un albero, il Melograno.
La melagrana che spunta dal sangue di un essere mitico e genera un nuovo essere si ritrova anche in un mito frigio. Una roccia di nome Agdos aveva assunto la forma della Grande Madre. Su di essa si era addormentato Papas, il dio del cielo. Mentre egli dormiva il suo seme cadde sulla roccia che, fecondata, partorì al decimo mese un essere androgino, selvaggio e tracotante: Agdístis, che poi i Greci identificarono con Cibele. Gli dei erano stanchi della sua arroganza, ma non sapevano come ammansirlo; finché Dioniso se ne assunse il compito. Agdístis soleva dissetarsi a una sorgente dopo le lunghe ore trascorse nei boschi a cacciare. Il dio ne trasformò l’acqua in vino. L’androgino bevve l’insolita bevanda cadendo in un sonno profondo; Bacco, che lo stava spiando, ne approfittò per legare il suo membro con una robusta fune. Quando Agdístis si fu destato dall’ebbrezza, balzò in piedi con tale slancio da evirarsi mentre un fiotto di sangue inondava la terra da dove sorse all’istante un Melograno con un frutto di straordinaria bellezza.
In quel luogo soleva passeggiare Nana, figlia del re o dio fluviale Sangarios, un’altra manifestazione della Grande Madre dell’Asia Minore. Un giorno la fanciulla vide pendere dall’albero quel frutto seducente e non riuscì a resistere alla tentazione di coglierlo ponendolo sul suo grembo. Ma inaspettatamente la melagrana sparì. La sconcertata principessa tornò lentamente al palazzo mentre uno strano languore la invadeva: era l’inizio della gravidanza da cui sarebbe nato Attis.
In Turchia, secondo un’usanza certamente di origine ellenica, la giovane sposa getta in terra una melagrana matura: avrà tanti figli quanti semi usciranno dal frutto spezzatosi contro il suolo.
Bibliografia:
CATTABIANI A., Florario (Miti, leggende e simboli di fiori e piante), Oscar Saggi Mondadori, I edizione, 1998.
DE LEONARDIS W., PICCIONE V., ZIZZA A. (Istituto e Orto botanico, Università degli Studi di Catania), Flora melissopalinologica d’Italia. Chiavi d’identificazione, Bollettino Accademia Gioenia Scienze Naturali, Vol. 19, n. 329, pp. 309-474, Catania 1986.
FERRARI M., MEDICI D., Alberi e arbusti in Italia (Manuale di riconoscimento), Edagricole, Bologna 2001.
LANZARA P., PIZZETTI M., Alberi, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1977.
LAUBER K., WAGNER G., Flora Helvetica (Flore illustrée de Suisse), 2ème édition, Editions Paul Haupt, 2001.
NEGRI G., Nuovo erbario figurato (Descrizione e proprietà delle piante medicinali e velenose della flora italiana), V edizione, Ulrico Hoepli, Milano1991.
PIZZETTI I., Enciclopedia dei Fiori e del Giardino, Garzanti Editore, I edizione, 1998.
TICLI B., Enciclopedia degli alberi d’Italia e d’Europa, De Vecchi Editore, Milano 2007.
www.dryades.eu
Life-strategy (sensu Grime & Co.): Stress tolleranti (S).
IUCN: N.A..
Farmacopea: la droga è costituita dalla corteccia della radice, che si estrae dal terreno in autunno e conservata allo stato semifresco nella sabbia, ma viene più generalmente seccata, il più rapidamente possibile, all’aria ed all’ombra. In commercio si trova sotto forma di frammenti (6-12 cm x 1-4 cm), o di strisce dello spessore di un paio di millimetri, ed è quindi sottile, più o meno incurvata, esternamente rugosa, verrucosa, fessurata, di colore grigio giallastro, internamente liscia o finemente striata in senso longitudinale e di colore fulvo, con margini per lo più tagliati a sghembo, frattura netta, granulare, giallo brunastra, fatta eccezione per lo strato suberoso che è bruno, con odore debole e sapore astringente, acerbo, non amaro; masticata, colora la saliva di giallo. La polvere è giallastra e contiene granuli d’amido e cellule con cristalli stellati di ossalato di calcio.
La corteccia della radice di Melograno contiene parecchi alcaloidi (pelletierina, isopelletierina, pseudo-pelletierina, metilpelletierina) acido granato tannico ed ellagico, sostanze resinose e pectiche, mannite, amido, ecc. Essa agisce paralizzando, non uccidendo, i platelminti (Taenia, Botriocephalus); deve questa sua caratteristica proprietà ai primi due alcaloidi citati e si usa preferibilmente in macerazioni di scorza secca facendola seguire da un energico purgante per espellere il parassita intorpidito, ciò che può ottenersi nel giro di 4-5 ore. Si è tentato di sostituire all’infuso che, anche edulcorato ed aromatizzato con menta, è molto disgustoso, l’estratto alcoolico della corteccia, che è però meno energico; l’alcaloide pelletierina è difficile a sciogliersi, sia nell’acqua che nell’alcool.
Le stesse proprietà della corteccia radicale sono offerte anche da quella dei rami e del tronco e dalla buccia del frutto, ma in grado meno accentuato; e sembra anche che la varietà di melograno a fiori bianchi eserciti un’azione più efficace di quella comune a fiori scarlatti.
I fiori, che contengono tannino e colorano la saliva di violetto, sono usati per la preparazione di pozioni astringenti; ed allo stesso scopo vengono impiegate la corteccia e la radice, particolarmente nei casi di emorragie vaginali ed intestinali.
Delle proprietà vermifughe del Melograno parlava anche Catone.
Avversità: le avversità più frequenti del Melograno sono i parassiti animali: afidi infestanti la vegetazione (A. fabae, A. gossypii ecc.); Metcalfa pruinosa che imbratta e infesta i germogli; l’imenottero apide Megachile sp che “taglia” i margini fogliari per utilizzarne i residui fogliari nella costruzione del nido; cocciniglie infestanti la vegetazione e gli organi legnosi (Ceroplastes sp, Planococcus sp ecc.). Agenti di malattia (funghi, batteri ed entità infettive): marciumi radicali fungini da Phymatotrichum omnivorum e Armillaria mellea; maculature necrotiche dei frutti e delle foglie dai funghi Sphaceloma punicae e Mycosphaerella lythracearum; marciumi fungini dei frutti da Botrytis, Alternaria, Aspergillus e Penicillium.
Usi: i semi, oltre ad essere di consumo molto gradevole, servono anche a preparare sciroppi utilizzati dall’industria farmaceutica come correttivi del sapore; se ne produce, inoltre, una bevanda acidula e dissetante, la granatina, sfruttandone gli antociani di cui sono ricchi per combattere i radicali liberi. La buccia dei frutti acerbi, fortemente tannica, è usata per estrarre una tintura rossa per la concia di quel particolare tipo di pelle che va sotto il nome di “marocchino” e per la colorazione dei tappeti orientali. Fino a un recente passato dal pericarpo del frutto si estraeva un ottimo inchiostro.
Cenni storici e curiosità: la pianta del Melograno è tanto bella che gli antichi la caricarono di simboli e di sogni, facendone uno dei misteri della natura; la nominarono nei poemi, la dipinsero sui vasi, sulle stoffe, la intagliarono nel legno e nel metallo. E’ pianta antichissima che risale al Pliocene e che si è naturalizzata nel nostro mondo in età molto remota. Sembra abbia avuto origine in Persia e si trovi spontaneo nelle località rocciose dell’Afghanistan. Ne esistono raffigurazioni in tombe egiziane che risalgono al 2500 a.C. e il suo frutto è nominato anche in papiri dell’epoca di Tuthmosis I (1547 a.C.) e di Amenofi IV (1375 a.C.); nelle camere sepolcrali di Ramsete IV sono stati trovati degli autentici frutti di Melograno seccati.
Molti sono i riferimenti al Melograno nel Vecchio Testamento, soprattutto frequenti nel Cantico dei Cantici. Dice l’amante: “come uno spicchio di Melograno le tue guance sotto il tuo velo” (4, 3; 6, 7), “i tuoi germogli formano un giardino di Melograni, con frutti squisitissimi” (4, 13), “ti offrirei vino profumato, di mosto dolcissimo del mio Melograno” (8, 12) e come risulta da quest’ultima citazione, l’uso ebraico di ricavare un “mosto” dal Melograno, ossia un liquore molto pregiato, è antichissimo.
Il Melograno, per gli Arabi, era una pianta importante, tanto che contribuirono alla sua diffusione anche in Spagna, dove la città di Granata prese il nome dal frutto (e non viceversa, come erroneamente si crede) e aggiunse il simbolo del melograno al proprio stemma.
Non si sa quando il Melograno fece la sua comparsa in giardino come pianta ornamentale. Turner ci dice che, in Inghilterra, nel 1548 veniva coltivato nel giardino del duca di Somerset a Syon House, ma è probabile che fosse precedentemente coltivato da alcune comunità monastiche per le sue virtù medicinali. Prima del 1618 John Tradescant ne introdusse in Inghilterra dal continente una varietà a fiori “grandi come una rosa doppia della Provenza”, cremisi. All’inizio del 1800 e anche più indietro nel tempo, è diventato un albero campagnolo (come il Giuggiolo); forse uno dei pochi che il contadino si è concesso per il piacere di vederlo fiorito più che per il gusto dei suoi frutti.
Il Melograno nella Cristianità: nel Santuario di Santa Maria del Granato a Capaccio Vecchio, in provincia di Salerno, si venera una Vergine col Bambin Gesù che tiene nella mano destra una melagrana, quasi fosse uno scettro: è la “Madonna del Granato”. Si suppone che Essa sia la Vergine che con le sacre nozze si trasforma nella genitrice del Figlio, apportatore di fecondità spirituale a tutta l’umanità e Amore misericordioso donato agli uomini ai quali offre i chicchi di salvezza, ovvero “la moltitudine di effetti e di provvidenze meravigliose di Dio”, secondo le parole di san Giovanni della Croce.
Spesso nell’iconografia medievale e rinascimentale è Gesù Bambino a reggere la melagrana, a significare sia l’Amore che si dona sia il Sacrificio sulla croce che, come il chicco seminato sulla terra, maturerà fino a trasformarsi con la resurrezione nel frutto della Redenzione, pegno a sua volta di resurrezione per tutti gli uomini di buona volontà nella luce del Cristo.
Nella “Madonna della melagrana” del Botticelli il frutto aperto con la pienezza dei suoi chicchi è sostenuto da una mano della Madonna. Il Figlio vi appoggia la sinistra e con la destra benedice. Quella melagrana può significare contemporaneamente, come succede d’altronde per ogni oggetto simbolico, l’Amore misericordioso pegno di resurrezione, la Fondazione della Chiesa in cui sono riuniti tutti i popoli della Terra con le loro tradizioni e infine la Ricchezza insondabile dei misteri divini.
Miti e simbologia: la melagrana, ai nostri giorni, è stato a volte assunto come simbolo della democrazia, per i suoi molti semi che sono la parte valida, e l’inutile corona. Sembra però che l’inutile corona sia servita di modello a Salomone per la sua.
Molte divinità greche sono state rappresentate con una melagrana. Nel museo di Paestum (Salerno) è conservata una statua arcaica, probabilmente del VII secolo a.C., che raffigura la dea Era con un bimbo in braccio nell’atteggiamento della kourotrófos, ossia di “colei che nutre”, che regge la melagrana nella destra. Anche Atena, protettrice della città di Atene nella sua funzione di divinità vittoriosa, è stata ritratta con questo simbolo vegetale, oltre ad Afrodite, nell’isola di Cipro, dove secondo un mito avrebbe piantato per la prima volta l’albero, e infine Core-Persefone, Signora degli Inferi e delle piante.
Secondo un mito greco il primo Melograno nacque dalle gocce di sangue di Dioniso. Quando uscì dal rifugio che era stata la coscia del padre Zeus, il piccolo fu catturato dai Titani che, ispirati dalla gelosissima Era, lo fecero a pezzi e lo misero a bollire in un paiolo. Dal sangue che si era sparso spuntò un albero, il Melograno.
La melagrana che spunta dal sangue di un essere mitico e genera un nuovo essere si ritrova anche in un mito frigio. Una roccia di nome Agdos aveva assunto la forma della Grande Madre. Su di essa si era addormentato Papas, il dio del cielo. Mentre egli dormiva il suo seme cadde sulla roccia che, fecondata, partorì al decimo mese un essere androgino, selvaggio e tracotante: Agdístis, che poi i Greci identificarono con Cibele. Gli dei erano stanchi della sua arroganza, ma non sapevano come ammansirlo; finché Dioniso se ne assunse il compito. Agdístis soleva dissetarsi a una sorgente dopo le lunghe ore trascorse nei boschi a cacciare. Il dio ne trasformò l’acqua in vino. L’androgino bevve l’insolita bevanda cadendo in un sonno profondo; Bacco, che lo stava spiando, ne approfittò per legare il suo membro con una robusta fune. Quando Agdístis si fu destato dall’ebbrezza, balzò in piedi con tale slancio da evirarsi mentre un fiotto di sangue inondava la terra da dove sorse all’istante un Melograno con un frutto di straordinaria bellezza.
In quel luogo soleva passeggiare Nana, figlia del re o dio fluviale Sangarios, un’altra manifestazione della Grande Madre dell’Asia Minore. Un giorno la fanciulla vide pendere dall’albero quel frutto seducente e non riuscì a resistere alla tentazione di coglierlo ponendolo sul suo grembo. Ma inaspettatamente la melagrana sparì. La sconcertata principessa tornò lentamente al palazzo mentre uno strano languore la invadeva: era l’inizio della gravidanza da cui sarebbe nato Attis.
In Turchia, secondo un’usanza certamente di origine ellenica, la giovane sposa getta in terra una melagrana matura: avrà tanti figli quanti semi usciranno dal frutto spezzatosi contro il suolo.
Bibliografia:
CATTABIANI A., Florario (Miti, leggende e simboli di fiori e piante), Oscar Saggi Mondadori, I edizione, 1998.
DE LEONARDIS W., PICCIONE V., ZIZZA A. (Istituto e Orto botanico, Università degli Studi di Catania), Flora melissopalinologica d’Italia. Chiavi d’identificazione, Bollettino Accademia Gioenia Scienze Naturali, Vol. 19, n. 329, pp. 309-474, Catania 1986.
FERRARI M., MEDICI D., Alberi e arbusti in Italia (Manuale di riconoscimento), Edagricole, Bologna 2001.
LANZARA P., PIZZETTI M., Alberi, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1977.
LAUBER K., WAGNER G., Flora Helvetica (Flore illustrée de Suisse), 2ème édition, Editions Paul Haupt, 2001.
NEGRI G., Nuovo erbario figurato (Descrizione e proprietà delle piante medicinali e velenose della flora italiana), V edizione, Ulrico Hoepli, Milano1991.
PIZZETTI I., Enciclopedia dei Fiori e del Giardino, Garzanti Editore, I edizione, 1998.
TICLI B., Enciclopedia degli alberi d’Italia e d’Europa, De Vecchi Editore, Milano 2007.
www.dryades.eu