Arbutus unedo L.
(a cura di Giuseppe Laino)
Etimologia: sia l’epiteto del genere che quello specifico erano nomi con i quali i Latini indicavano questa specie. L’epiteto del genere è il nome arbutus, -i, f. = “corbezzolo” [Virgilio et al.] con il quale veniva indicata la sola pianta mentre con arbutum, -i, n., si indicava sia la pianta che il frutto. L’epiteto del genere unedo, -onis ha sia il significato di “corbezzolo” (pianta) [Plinio], sia di “corbezzola” (frutto del corbezzolo) [Plinio et al.] e deriverebbe dalla contrazione del periodo unum edo = “ne mangio uno (soltanto)” con allusione al sapore delle bacche che, pur essendo dolci, non sono universalmente gradite.
Sinonimi: nessuno.
Nomi volgari: Albatro, Arbuto, Corbezzolo, Rossetto (italiano). Liguria: Armottu, Lamborsa, Lamborsiè. Arburin (Mortola); Arbussaru (S. Remo); Armelin (Carbuta); Armiun, Armun (Genova); Armotlu, Armotui (Sarzana); Armotti (S. Vittoria di Libiola); Armotu (Chiavari); Armuria (Dolcedo); Armurin (Cipriano); Armutin (Levanto); Armuttai (Velva); Audun (Pigna); Baudurin (Val di Nervia); Meelarmutti (Campeglia); Meelli da murta, Murta (Savona). Piemonte: Armlin, Frola d'marina, Frola marina, Frole d'Natal, Uerion. Lombardia: Pomin ross; Fragolon (Pavia); Manteller (Bergamo); Rosel (Cremona). Veneto: Fragole de scojo. Cornolaro (Vicenza); Fraghe de montagna (Verona); Fragola di monte, Fragola sgompara (Padova); Fragoloni d'albero (Venezia). Emilia-Romagna: Marmelotta, Marmotta; Arbuso, Corbezzel, Corbezzol (Reggio). Toscana: Albatrello, Albatro, Arbuto, Corbezzolo, Momponi, Urla, Urlo. Albatresto (Poggibonsi); Marmelotta, Marmotta (Lunigiana); Rossello (Val di Chiana). Umbria: Allerone, Lallerone (Perugia); Vallarone (Bevagna). Marche: Cerasa marina, Cocomero (Ancona). Abruzzi: Briachello (Chieti); Cucumorara, Imbriachella, Mbrijachella, Ruscepinde, Umbriachella (Teramo). Campania: Cacummera, Cucumero, Suorvo; Ceraso marino, Soreva marina, Sorvo peloso; Cocomero, Suorvo di macchia (Avellino); Suorvo peluso (Ischia); Janolo, Suorvo marino (Salerno). Puglia: Fragolone, Nongoli (Foggia); Nancola (Bari); Rusciolo, Rusolo (Lecce). Calabria: Aommaro, Caccumarrara, Cacummaro, Cucumero, Imbriachi; Acummaru, Acummuru (Laureana di Sacello); Cacombaro (Catanzaro); Cacummera, Cucumero (Cosenza). Basilicata: Cornale, Rassolillo, Sorba pelosa, Sorvato. Sicilia: Agumaru, Aumaru, Aummaru, Aummiru, Lughi; Imbriacula, Mbriacolo, Mbriaculu, Miraculi, Miriaculi (Palermo); Mbriachedda (Messina). Sardegna: Lidone, Olidone, Olidoni, Olioni; Arbose (Alghero); Cariasa (Bolotana); Ghilisoni, Ulioni (Gallura); Mela di lidone (Nuoro).
Forma biologica e di crescita: fanerofita cespitosa.
Tipo corologico: steno-mediterraneo. Specie con areale limitato alle coste mediterranee (area dell'Olivo) e del Portogallo, oltreché a quelle dell’Irlanda meridionale.
Fenologia: fiore: X-XI, frutto: VIII-XI(-III) dell’anno successivo. La pianta ospita, contemporaneamente, fiori, frutti immaturi e frutti maturi, caratteristica che la rende particolarmente ornamentale.
Limiti altitudinali: dal livello del mare a 800 m di altitudine.
Abbondanza relativa e distribuzione geografica in Italia: nel nostro Paese la specie è componente caratteristico della flora mediterranea, presente in quasi tutte le Regioni ad eccezione di Valle d’Aosta, Piemonte e Trentino-Alto Adige. Penetra, con altri rappresentanti della flora costiera, lungo il margine meridionale delle Alpi, nel distretto insubrico, sempre però a quote basse e in ambienti soleggiati. Naturalizzata in Friuli-Venezia Giulia.
Habitus: pianta molto longeva quando non soggetta a ceduazione (in media 100 anni, anche se qualche esemplare pare sia arrivato ai 400), variabile nelle dimensioni, da piccolo albero sempreverde dal tronco eretto e sinuoso e chioma globosa e irregolare, in condizioni non ottimali rimane allo stadio arbustivo, molto ramificato sin dalla base; può raggiungere i 5 m di altezza, ed eccezionalmente i 10 m, a crescita molto lenta. I ramuli sono pelosi. La scorza è rossastra, in particolare quella dei rami, e rugosa, che invecchiando si sfalda in placche sottili longitudinali.
Foglie: le foglie, lunghe 7-12 cm, semplici, verde scuro e lucide sulla pagina superiore, più chiaro sulla pagina inferiore, sono sparse sui rametti con inserzione spiralato alterna, lamina oblunga e lanceolata, acuminata alle estremità, portate da un corto picciolo rosato, tomentoso; il margine è seghettato e presenta dei piccoli denti acuti; la consistenza è coriacea con nervature prominenti nella superficie inferiore.
Fiore: fiori ermafroditi, riuniti in infiorescenze terminali a pannocchia pendula lunga 6-10 cm; il rachide dell’infiorescenza è arrossato e porta piccole brattee ovali e acute, anch’esse arrossate, all’ascella di ciascuna ramificazione e, di norma, anche all’ascella del peduncolo di ciascun fiore. I singoli fiori sono bianco giallastri, con calice gamosepalo, bruno, piccolissimo a 5 lobi arrotondati. La corolla è gamopetala, urceolata (campanula chiusa con apice aperto a corona), glabra nella superficie esterna, tomentosa in quella interna, terminata alla fauce da 5 piccoli denti volti verso l’esterno; larghi 6-10 mm e lunghi 8 mm, tipicamente peduncolati (i peduncoli e, a volte i fiori, presentano sfumature rosate più o meno intense). Androceo di 10 stami, inclusi, ancorati alla base della corolla e inseriti circolarmente attorno al gineceo, con filamenti clavati e con pelosità eretto patente, biancastri; antere brunastre oblungo lanceolate, bilobate, con ciascun lobo provvisto di una appendice biancastra a forma di tentacolo; gineceo con ovario supero, pentacarpellare; stilo eretto, biancastro, leggermente più corto dell’ampolla corollina; stimma giallo verdastro, leggermente suddiviso in 5 lobi radiali. Fioriscono in autunno (soprattutto ottobre e novembre), ma questo periodo può prolungarsi fino a marzo dell’anno successivo.
Frutto: bacche pentaloculari sferiche, larghe 2 cm circa; in ciascun loculo sono racchiusi numerosi semi; l’esocarpo è costituito da una pellicola sottile, punteggiata da numerose escrescenze tubercolari acute, dapprima verde, poi giallo, rosso a maturità; mesocarpo costituito da una polpa color giallo carico a maturità; endocarpo carnoso indistinguibile dal mesocarpo. I frutti impiegano un anno per giungere a maturazione.
Semi: semi di piccole dimensioni, brunastro chiari, spigolosi, caratterizzati da scarsa germinabilità.
Polline: granuli pollinici monadi, di grandi dimensioni (51-100 mµ), oblati; perimetro in vista equatoriale: circolare; tricolporati; esina: psilata-perforata, eutectata. L’impollinazione è entomofila, effettuata soprattutto dalle api che producono un miele molto saporito.
Numero cromosomico: 2n = 26.
Sottospecie e/o varietà: l’Arbutus unedo L., dove vegeta in compagnia della congenere Arbutus andrachne L., dà luogo a un ibrido naturale, l’Arbutus x andrachnoides L. che ha la caratteristica di produrre una scorza che, più la pianta cresce, più appare suggestiva con il suo colore rosso cinabro.
Del Corbezzolo esistono in commercio diverse cultivar o forme: “Compacta”, a crescita molto lenta e raccolta; “Crispa”, dai fiori bianchi e dalle bacche rosso corallo; “Integerrima”, a crescita lenta, con foglie a margini interi; “Quercifolia”, foglie a margine dentato grossolanamente, che termina liscio alla base; “Rubra”, con fiori rosso-rosa e frutti abbondanti; “Microphylla”, a foglie più minute; “Elfin King”, nana, molto fiorifera.
Habitat ed ecologia: il Corbezzolo è una pianta tipica della macchia mediterranea, associata anche ad altri alberi e arbusti, in particolare al Leccio (Quercus ilex L.); predilige suoli ben drenati; si adatta a molti tipi di substrato, predilige però quelli tendenzialmente sciolti e subacidi ed esposizioni soleggiate o parzialmente ombreggiate. Manifesta in ogni caso una discreta tolleranza al calcare e agli agenti inquinanti. Negli areali più a nord, rispetto a quelli mediterranei, lo si ritrova in posizioni riparate e non in corrente, in quanto mal sopporta le gelate intense e prolungate. È una pianta che ama i luoghi soleggiati e aridi, ma si sviluppa anche in zone ombrose dove si copre di un bel fogliame verde lucido riducendo però la produzione di fiori e frutti.
Il Corbezzolo riveste grande interesse perché dotato di alta capacità pollonifera dovuta a un ingrossamento ipogeo del fusto (ceppo) che funge da riserva nutrizionale (si presta a essere governato a ceduo) e di grande forza vitale, per cui, anche se soggetto a continui tagli o all’aggressione di incendi, impedisce il denudamento del terreno e riesce sempre a sopravvivere ributtando numerosissimi getti; molto resistente alla siccità, non ama suoli troppo umidi.
Syntaxon (syntaxa) di riferimento: Erico-Quercion ilicis, Cisto-Micromerietea, Cisto-Lavanduletea
Life-strategy (sensu Grime & Co.): Competitive (C) + Stress-tolleranti (S).
IUCN: N.A.
Farmacopea: il Corbezzolo contiene gaultherina, arbusterina, molte sostanze tanniche, polifenoli, resine. La parte erboristicamente utile della pianta è costituita dalle foglie la cui decozione veniva prescritta come astringente intestinale e antidiarroica. La presenza nella droga di un derivato polifenolico, l’arbutoside, induce taluni autori ad attribuire al Corbezzolo proprietà diuretiche e leggermente disinfettanti di tutto il tratto intestinale.
Avversità: le avversità a cui il Corbezzolo è maggiormente soggetto sono i parassiti animali: cocciniglie di varie specie infestanti i rami e i germogli come Ceroplastes sp, Aspidiotus sp, Saissetia oleae, Coccus hesperidium, ecc.; Pseudococcus citri pseudococcide infestante i rami e i germogli; danni fogliari da Otiorrynchus sp. Sono da enumerare inoltre gli agenti di malattia (funghi, batteri ed entità infettive): macchie necrotiche fogliari (antracnosi) dovute al fungo Elsinoe mattirolianum; maculatura necrotica fogliare provocata dal fungo Septoria unedonis; marciumi fungini radicali e del colletto da Armillaria mellea e Phymatotrichum omnivorum e Phytophthora sp; tumore batterico delle radici (Agrobacterium tumefaciens).
Tra i parassiti del Corbezzolo è degno di nota un bellissimo lepidottero, la ninfa del Corbezzolo (Charaxes jasus) il quale, nella sua fase larvale, si nutre di foglie della pianta. Lo sviluppo del parassita non è mai tale da causare problemi seri alle piante e, anzi, l'animale è piuttosto raro e difficile da osservare.
Usi: il Corbezzolo, come albero da frutto, trova scarso impiego in quanto i frutti, dolciastri e aciduli, sono sì eduli, ma di sapore non tanto invitante da farne scorpacciate; possono avere effetti astringenti e contengono un alcaloide in grado di causare gravi inconvenienti in soggetti sensibili, per cui se ne consiglia sempre un uso moderato (qualche bacca); tuttavia sono utilizzati nella preparazione di marmellate oppure possono essere fatti fermentare per produrre bevande alcoliche.
Il suo legno è chiaro ed è particolarmente dolce; non essendo aromatico può essere utilizzato per realizzare arnesi per il trattamento di alimenti; in Sardegna i pastori per la produzione di formaggio lo utilizzano per realizzare "su pilìsu", il particolare strumento impiegato per rompere la cagliata; è anche un ottimo combustibile e non emettendo odore durante la combustione è molto apprezzato come legna da ardere.
Tra le piante protagoniste della nostra macchia, il Corbezzolo è forse l’unica che è andata acquistando, negli ultimi 50 anni circa, sempre più favore e spazio nei giardini, e perfino sui terrazzi dove, coltivato in contenitori capaci (di almeno 60 cm di diametro, altrimenti occorre sostituirli troppo spesso) è di grande effetto ornamentale.
Esemplari monumentali: con il censimento forestale sugli alberi monumentali effettuato dal Corpo forestale dello Stato nel 1982, sono stati individuati due Corbezzoli di dimensioni ragguardevoli in provincia di Nuovo, uno nel comune di Arzana, in località Aredili, con una circonferenza di 2,5 m e un’altezza di 5 m, e l’altro nel comune di Seui, in località Lacarda, avente circonferenza di 2,3 m e altezza di 7 m.
Legislazioni regionali: alcune Regioni tutelano il Corbezzolo con proprie emanazioni legislative: la Regione Veneto lo fa con la legge regionale 18-04-1995, art. 1 e all. A “Salvaguardia del patrimonio genetico delle specie della flora legnosa indigena del Veneto”; la Regione Marche vi provvede con legge regionale 23-2-2005, art. 20, “Alberi da fusto soggetti a tutela”; La Regione Molise esercita la protezione della specie con legge regionale n. 9 del 23-02-1999, art.3, comma 2, “Molise, specie alimentari di cui è proibita la raccolta”; la Regione Emilia-Romagna ha emanato la legge regionale n. 2 del 24-1-1977, art, 4, “Emilia-Romagna, specie di cui è vietata a chiunque, ivi compreso il proprietario del fondo, salvo si tratti di terreno messo a coltura, la raccolta”.
Miti e leggende: Ovidio narra nei Fasti (VI, 153) che Carna, sorella di Apollo, era una ninfa gelosa della sua verginità. Giano, innamoratosi di lei, riuscì con uno stratagemma a possederla e per compensarla della perduta verginità le concesse il divino potere di tutelare i cardini degli usci. Con un ramo di Corbezzolo, la virga janalis, la dea cacciava gli stregoni e le streghe e guariva i bambini malati o colpiti da qualche maleficio.
Un giorno Proca, l’erede al trono di Alba Longa, ancora lattante fu assalito dalle strigi: uccellacci dalla testa grossa e dagli occhi fissi, con il becco rapace, le penne bianche e gli artigli a mo’ di uncino, erano secondo una credenza popolare riferita da Plinio donne trasformate per magia in uccelli.
La nutrice, atterrita dagli strilli, accorse alla sua culla e vide che il bambino era morente. Chiese allora aiuto alla dea Carna. Questa toccò per tre volte la porta con un ramo di Corbezzolo e sparse l’ingresso d’acqua mista a un filtro magico; poi prese le viscere crude di una scrofa di due mesi, le offrì alle strigi perché se ne cibassero rispettando quelle del bimbo. Per questo motivo il Corbezzolo è considerato anche una delle piante che respingono le streghe di San Giovanni.
Curiosità: la contemporanea presenza del verde delle foglie, del bianco dei fiori e del rosso delle bacche evocò nell’Ottocento la bandiera italiana sicché nel periodo risorgimentale il Corbezzolo divenne simbolo dell’unità nazionale.
Dal nome greco kómaros = “ciliegio di mare”, deriva il nome del Monte Cònero, promontorio situato a sud della città di Ancona (la pianta è qui chiamata Cerasa marina, vedi sopra), la cui vegetazione è appunto ricca di piante di Corbezzolo.
Dell’usanza dei Latini di deporre rami di Corbezzolo sui sepolcri ci dà testimonianza Virgilio (Eneide XI, 64-66): «Velocemente intessono un graticcio che faccia / da feretro, con verghe di elastico corbezzolo».
Nel linguaggio dei fiori la sua bianca campanula ha evocato il simbolo dell’ospitalità. I toscani lo hanno adottato a loro volta al plurale (“corbezzoli!”) come esclamazione scherzosa di meraviglia per ulteriore eufemismo da “corbelli” che addolciva a sua volta un’esclamazione triviale: «Non mi rompere i corbelli!», ma fors’anche per la somiglianza, appunto, dei suoi frutti con i “corbelli”:
Bibliografia:
Sinonimi: nessuno.
Nomi volgari: Albatro, Arbuto, Corbezzolo, Rossetto (italiano). Liguria: Armottu, Lamborsa, Lamborsiè. Arburin (Mortola); Arbussaru (S. Remo); Armelin (Carbuta); Armiun, Armun (Genova); Armotlu, Armotui (Sarzana); Armotti (S. Vittoria di Libiola); Armotu (Chiavari); Armuria (Dolcedo); Armurin (Cipriano); Armutin (Levanto); Armuttai (Velva); Audun (Pigna); Baudurin (Val di Nervia); Meelarmutti (Campeglia); Meelli da murta, Murta (Savona). Piemonte: Armlin, Frola d'marina, Frola marina, Frole d'Natal, Uerion. Lombardia: Pomin ross; Fragolon (Pavia); Manteller (Bergamo); Rosel (Cremona). Veneto: Fragole de scojo. Cornolaro (Vicenza); Fraghe de montagna (Verona); Fragola di monte, Fragola sgompara (Padova); Fragoloni d'albero (Venezia). Emilia-Romagna: Marmelotta, Marmotta; Arbuso, Corbezzel, Corbezzol (Reggio). Toscana: Albatrello, Albatro, Arbuto, Corbezzolo, Momponi, Urla, Urlo. Albatresto (Poggibonsi); Marmelotta, Marmotta (Lunigiana); Rossello (Val di Chiana). Umbria: Allerone, Lallerone (Perugia); Vallarone (Bevagna). Marche: Cerasa marina, Cocomero (Ancona). Abruzzi: Briachello (Chieti); Cucumorara, Imbriachella, Mbrijachella, Ruscepinde, Umbriachella (Teramo). Campania: Cacummera, Cucumero, Suorvo; Ceraso marino, Soreva marina, Sorvo peloso; Cocomero, Suorvo di macchia (Avellino); Suorvo peluso (Ischia); Janolo, Suorvo marino (Salerno). Puglia: Fragolone, Nongoli (Foggia); Nancola (Bari); Rusciolo, Rusolo (Lecce). Calabria: Aommaro, Caccumarrara, Cacummaro, Cucumero, Imbriachi; Acummaru, Acummuru (Laureana di Sacello); Cacombaro (Catanzaro); Cacummera, Cucumero (Cosenza). Basilicata: Cornale, Rassolillo, Sorba pelosa, Sorvato. Sicilia: Agumaru, Aumaru, Aummaru, Aummiru, Lughi; Imbriacula, Mbriacolo, Mbriaculu, Miraculi, Miriaculi (Palermo); Mbriachedda (Messina). Sardegna: Lidone, Olidone, Olidoni, Olioni; Arbose (Alghero); Cariasa (Bolotana); Ghilisoni, Ulioni (Gallura); Mela di lidone (Nuoro).
Forma biologica e di crescita: fanerofita cespitosa.
Tipo corologico: steno-mediterraneo. Specie con areale limitato alle coste mediterranee (area dell'Olivo) e del Portogallo, oltreché a quelle dell’Irlanda meridionale.
Fenologia: fiore: X-XI, frutto: VIII-XI(-III) dell’anno successivo. La pianta ospita, contemporaneamente, fiori, frutti immaturi e frutti maturi, caratteristica che la rende particolarmente ornamentale.
Limiti altitudinali: dal livello del mare a 800 m di altitudine.
Abbondanza relativa e distribuzione geografica in Italia: nel nostro Paese la specie è componente caratteristico della flora mediterranea, presente in quasi tutte le Regioni ad eccezione di Valle d’Aosta, Piemonte e Trentino-Alto Adige. Penetra, con altri rappresentanti della flora costiera, lungo il margine meridionale delle Alpi, nel distretto insubrico, sempre però a quote basse e in ambienti soleggiati. Naturalizzata in Friuli-Venezia Giulia.
Habitus: pianta molto longeva quando non soggetta a ceduazione (in media 100 anni, anche se qualche esemplare pare sia arrivato ai 400), variabile nelle dimensioni, da piccolo albero sempreverde dal tronco eretto e sinuoso e chioma globosa e irregolare, in condizioni non ottimali rimane allo stadio arbustivo, molto ramificato sin dalla base; può raggiungere i 5 m di altezza, ed eccezionalmente i 10 m, a crescita molto lenta. I ramuli sono pelosi. La scorza è rossastra, in particolare quella dei rami, e rugosa, che invecchiando si sfalda in placche sottili longitudinali.
Foglie: le foglie, lunghe 7-12 cm, semplici, verde scuro e lucide sulla pagina superiore, più chiaro sulla pagina inferiore, sono sparse sui rametti con inserzione spiralato alterna, lamina oblunga e lanceolata, acuminata alle estremità, portate da un corto picciolo rosato, tomentoso; il margine è seghettato e presenta dei piccoli denti acuti; la consistenza è coriacea con nervature prominenti nella superficie inferiore.
Fiore: fiori ermafroditi, riuniti in infiorescenze terminali a pannocchia pendula lunga 6-10 cm; il rachide dell’infiorescenza è arrossato e porta piccole brattee ovali e acute, anch’esse arrossate, all’ascella di ciascuna ramificazione e, di norma, anche all’ascella del peduncolo di ciascun fiore. I singoli fiori sono bianco giallastri, con calice gamosepalo, bruno, piccolissimo a 5 lobi arrotondati. La corolla è gamopetala, urceolata (campanula chiusa con apice aperto a corona), glabra nella superficie esterna, tomentosa in quella interna, terminata alla fauce da 5 piccoli denti volti verso l’esterno; larghi 6-10 mm e lunghi 8 mm, tipicamente peduncolati (i peduncoli e, a volte i fiori, presentano sfumature rosate più o meno intense). Androceo di 10 stami, inclusi, ancorati alla base della corolla e inseriti circolarmente attorno al gineceo, con filamenti clavati e con pelosità eretto patente, biancastri; antere brunastre oblungo lanceolate, bilobate, con ciascun lobo provvisto di una appendice biancastra a forma di tentacolo; gineceo con ovario supero, pentacarpellare; stilo eretto, biancastro, leggermente più corto dell’ampolla corollina; stimma giallo verdastro, leggermente suddiviso in 5 lobi radiali. Fioriscono in autunno (soprattutto ottobre e novembre), ma questo periodo può prolungarsi fino a marzo dell’anno successivo.
Frutto: bacche pentaloculari sferiche, larghe 2 cm circa; in ciascun loculo sono racchiusi numerosi semi; l’esocarpo è costituito da una pellicola sottile, punteggiata da numerose escrescenze tubercolari acute, dapprima verde, poi giallo, rosso a maturità; mesocarpo costituito da una polpa color giallo carico a maturità; endocarpo carnoso indistinguibile dal mesocarpo. I frutti impiegano un anno per giungere a maturazione.
Semi: semi di piccole dimensioni, brunastro chiari, spigolosi, caratterizzati da scarsa germinabilità.
Polline: granuli pollinici monadi, di grandi dimensioni (51-100 mµ), oblati; perimetro in vista equatoriale: circolare; tricolporati; esina: psilata-perforata, eutectata. L’impollinazione è entomofila, effettuata soprattutto dalle api che producono un miele molto saporito.
Numero cromosomico: 2n = 26.
Sottospecie e/o varietà: l’Arbutus unedo L., dove vegeta in compagnia della congenere Arbutus andrachne L., dà luogo a un ibrido naturale, l’Arbutus x andrachnoides L. che ha la caratteristica di produrre una scorza che, più la pianta cresce, più appare suggestiva con il suo colore rosso cinabro.
Del Corbezzolo esistono in commercio diverse cultivar o forme: “Compacta”, a crescita molto lenta e raccolta; “Crispa”, dai fiori bianchi e dalle bacche rosso corallo; “Integerrima”, a crescita lenta, con foglie a margini interi; “Quercifolia”, foglie a margine dentato grossolanamente, che termina liscio alla base; “Rubra”, con fiori rosso-rosa e frutti abbondanti; “Microphylla”, a foglie più minute; “Elfin King”, nana, molto fiorifera.
Habitat ed ecologia: il Corbezzolo è una pianta tipica della macchia mediterranea, associata anche ad altri alberi e arbusti, in particolare al Leccio (Quercus ilex L.); predilige suoli ben drenati; si adatta a molti tipi di substrato, predilige però quelli tendenzialmente sciolti e subacidi ed esposizioni soleggiate o parzialmente ombreggiate. Manifesta in ogni caso una discreta tolleranza al calcare e agli agenti inquinanti. Negli areali più a nord, rispetto a quelli mediterranei, lo si ritrova in posizioni riparate e non in corrente, in quanto mal sopporta le gelate intense e prolungate. È una pianta che ama i luoghi soleggiati e aridi, ma si sviluppa anche in zone ombrose dove si copre di un bel fogliame verde lucido riducendo però la produzione di fiori e frutti.
Il Corbezzolo riveste grande interesse perché dotato di alta capacità pollonifera dovuta a un ingrossamento ipogeo del fusto (ceppo) che funge da riserva nutrizionale (si presta a essere governato a ceduo) e di grande forza vitale, per cui, anche se soggetto a continui tagli o all’aggressione di incendi, impedisce il denudamento del terreno e riesce sempre a sopravvivere ributtando numerosissimi getti; molto resistente alla siccità, non ama suoli troppo umidi.
Syntaxon (syntaxa) di riferimento: Erico-Quercion ilicis, Cisto-Micromerietea, Cisto-Lavanduletea
Life-strategy (sensu Grime & Co.): Competitive (C) + Stress-tolleranti (S).
IUCN: N.A.
Farmacopea: il Corbezzolo contiene gaultherina, arbusterina, molte sostanze tanniche, polifenoli, resine. La parte erboristicamente utile della pianta è costituita dalle foglie la cui decozione veniva prescritta come astringente intestinale e antidiarroica. La presenza nella droga di un derivato polifenolico, l’arbutoside, induce taluni autori ad attribuire al Corbezzolo proprietà diuretiche e leggermente disinfettanti di tutto il tratto intestinale.
Avversità: le avversità a cui il Corbezzolo è maggiormente soggetto sono i parassiti animali: cocciniglie di varie specie infestanti i rami e i germogli come Ceroplastes sp, Aspidiotus sp, Saissetia oleae, Coccus hesperidium, ecc.; Pseudococcus citri pseudococcide infestante i rami e i germogli; danni fogliari da Otiorrynchus sp. Sono da enumerare inoltre gli agenti di malattia (funghi, batteri ed entità infettive): macchie necrotiche fogliari (antracnosi) dovute al fungo Elsinoe mattirolianum; maculatura necrotica fogliare provocata dal fungo Septoria unedonis; marciumi fungini radicali e del colletto da Armillaria mellea e Phymatotrichum omnivorum e Phytophthora sp; tumore batterico delle radici (Agrobacterium tumefaciens).
Tra i parassiti del Corbezzolo è degno di nota un bellissimo lepidottero, la ninfa del Corbezzolo (Charaxes jasus) il quale, nella sua fase larvale, si nutre di foglie della pianta. Lo sviluppo del parassita non è mai tale da causare problemi seri alle piante e, anzi, l'animale è piuttosto raro e difficile da osservare.
Usi: il Corbezzolo, come albero da frutto, trova scarso impiego in quanto i frutti, dolciastri e aciduli, sono sì eduli, ma di sapore non tanto invitante da farne scorpacciate; possono avere effetti astringenti e contengono un alcaloide in grado di causare gravi inconvenienti in soggetti sensibili, per cui se ne consiglia sempre un uso moderato (qualche bacca); tuttavia sono utilizzati nella preparazione di marmellate oppure possono essere fatti fermentare per produrre bevande alcoliche.
Il suo legno è chiaro ed è particolarmente dolce; non essendo aromatico può essere utilizzato per realizzare arnesi per il trattamento di alimenti; in Sardegna i pastori per la produzione di formaggio lo utilizzano per realizzare "su pilìsu", il particolare strumento impiegato per rompere la cagliata; è anche un ottimo combustibile e non emettendo odore durante la combustione è molto apprezzato come legna da ardere.
Tra le piante protagoniste della nostra macchia, il Corbezzolo è forse l’unica che è andata acquistando, negli ultimi 50 anni circa, sempre più favore e spazio nei giardini, e perfino sui terrazzi dove, coltivato in contenitori capaci (di almeno 60 cm di diametro, altrimenti occorre sostituirli troppo spesso) è di grande effetto ornamentale.
Esemplari monumentali: con il censimento forestale sugli alberi monumentali effettuato dal Corpo forestale dello Stato nel 1982, sono stati individuati due Corbezzoli di dimensioni ragguardevoli in provincia di Nuovo, uno nel comune di Arzana, in località Aredili, con una circonferenza di 2,5 m e un’altezza di 5 m, e l’altro nel comune di Seui, in località Lacarda, avente circonferenza di 2,3 m e altezza di 7 m.
Legislazioni regionali: alcune Regioni tutelano il Corbezzolo con proprie emanazioni legislative: la Regione Veneto lo fa con la legge regionale 18-04-1995, art. 1 e all. A “Salvaguardia del patrimonio genetico delle specie della flora legnosa indigena del Veneto”; la Regione Marche vi provvede con legge regionale 23-2-2005, art. 20, “Alberi da fusto soggetti a tutela”; La Regione Molise esercita la protezione della specie con legge regionale n. 9 del 23-02-1999, art.3, comma 2, “Molise, specie alimentari di cui è proibita la raccolta”; la Regione Emilia-Romagna ha emanato la legge regionale n. 2 del 24-1-1977, art, 4, “Emilia-Romagna, specie di cui è vietata a chiunque, ivi compreso il proprietario del fondo, salvo si tratti di terreno messo a coltura, la raccolta”.
Miti e leggende: Ovidio narra nei Fasti (VI, 153) che Carna, sorella di Apollo, era una ninfa gelosa della sua verginità. Giano, innamoratosi di lei, riuscì con uno stratagemma a possederla e per compensarla della perduta verginità le concesse il divino potere di tutelare i cardini degli usci. Con un ramo di Corbezzolo, la virga janalis, la dea cacciava gli stregoni e le streghe e guariva i bambini malati o colpiti da qualche maleficio.
Un giorno Proca, l’erede al trono di Alba Longa, ancora lattante fu assalito dalle strigi: uccellacci dalla testa grossa e dagli occhi fissi, con il becco rapace, le penne bianche e gli artigli a mo’ di uncino, erano secondo una credenza popolare riferita da Plinio donne trasformate per magia in uccelli.
La nutrice, atterrita dagli strilli, accorse alla sua culla e vide che il bambino era morente. Chiese allora aiuto alla dea Carna. Questa toccò per tre volte la porta con un ramo di Corbezzolo e sparse l’ingresso d’acqua mista a un filtro magico; poi prese le viscere crude di una scrofa di due mesi, le offrì alle strigi perché se ne cibassero rispettando quelle del bimbo. Per questo motivo il Corbezzolo è considerato anche una delle piante che respingono le streghe di San Giovanni.
Curiosità: la contemporanea presenza del verde delle foglie, del bianco dei fiori e del rosso delle bacche evocò nell’Ottocento la bandiera italiana sicché nel periodo risorgimentale il Corbezzolo divenne simbolo dell’unità nazionale.
Dal nome greco kómaros = “ciliegio di mare”, deriva il nome del Monte Cònero, promontorio situato a sud della città di Ancona (la pianta è qui chiamata Cerasa marina, vedi sopra), la cui vegetazione è appunto ricca di piante di Corbezzolo.
Dell’usanza dei Latini di deporre rami di Corbezzolo sui sepolcri ci dà testimonianza Virgilio (Eneide XI, 64-66): «Velocemente intessono un graticcio che faccia / da feretro, con verghe di elastico corbezzolo».
Nel linguaggio dei fiori la sua bianca campanula ha evocato il simbolo dell’ospitalità. I toscani lo hanno adottato a loro volta al plurale (“corbezzoli!”) come esclamazione scherzosa di meraviglia per ulteriore eufemismo da “corbelli” che addolciva a sua volta un’esclamazione triviale: «Non mi rompere i corbelli!», ma fors’anche per la somiglianza, appunto, dei suoi frutti con i “corbelli”:
Bibliografia:
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