(a cura di Giuseppe Laino)
Etimologia: il nome del genere già usato dai Romani per indicare il Fraxinus excelsior L. deriva dal greco phraxo = “chiudo”, perché questa pianta veniva utilizzata per formare siepi; dal latino ornus = frassino selvatico (è il nome che i latini davano al frassino da manna [Verg., Hor., Plin. et al.]).
Sinonimi: nessuno.
Nomi volgari: Avorniello, Frassino da manna, Orniello, Orno (italiano). Liguria: Frasce, Frascia, Fraxinella, Fraxiu (Genova); Fraschinu (Chiavari); Avurnu (Sosaigua). Piemonte: Frasso, Manna, Noseta, Nousetta; Frassu d' montagna (Torino); Amburno (Novara); Frassinella (Cuneo); Ornien (Alessandria). Lombardia: Frassin; Avorgnel, Frasenella, Orno, Uniz (Bergamo); Frasen, Froessen, Gel, Oesa, Uren (Brescia); Frassin fals, Nosice (Como); Frassen, Lusa (Mantova). Veneto: Frassano (Verona); Frassen mascio, Frassen ornaz, Frassen spinarel, Frassen vach, Frassenella, Orn (Belluno); Ornaro (Vicenza); Orner, Albro (Treviso). Friuli: Frassin, Uarn, Uarr, Vuarn, Vuarr. Emilia-Romagna: Frassen, Frassin (Reggio); Ighene (Piacenza); Orn (Romagna). Toscana: Avornello, Avornio, Costolo, Nocicchio, Ornello, Orniello, Ornio; Aborniello (Siena); Frassan (Lunigiana); Nocisto (Arezzo). Abruzzi: Orn, Ornellu, Uorne, Uornielle, Urnelle, Urnielle; Oriniello, Teniello (Camporosso); Orneglio, Orniello (L’Aquila); Rinello, Riniello (Larino). Campania: Frasso (Napoli); Ornatello, Orno, Uorno (Terra di Lavoro); Orniello (Ischia); Uorno (Avellino). Puglia: Vornolo (Lecce). Basilicata: Leccorno, Amilejo (Potenza). Calabria: Amejeju, Amejer, Mileju; Olilijo, Urno (Cosenza). Sicilia: Amiddeu, Arvulu di manna, Frascinu di manna, Frascinu, Middeu, Muddia; Dardaru (Prizzi). Sardegna: Frassu de manna.
Forma biologica e di crescita: fanerofita caducifoglia.
Tipo corologico: Europa meridionale e orientale (Spagna centrorientale e Baleari, Provenza, Corsica, Italia, dall’Austria all’Ungheria a tutta la Penisola Balcanica, alla Turchia meridionale e alla regione pontica). Il limite settentrionale della specie è l'arco alpino e la valle del Danubio mentre il limite orientale è la Siria e l'Anatolia.
Fenologia: fiore: IV-V, frutto: VII-IX.
Sinonimi: nessuno.
Nomi volgari: Avorniello, Frassino da manna, Orniello, Orno (italiano). Liguria: Frasce, Frascia, Fraxinella, Fraxiu (Genova); Fraschinu (Chiavari); Avurnu (Sosaigua). Piemonte: Frasso, Manna, Noseta, Nousetta; Frassu d' montagna (Torino); Amburno (Novara); Frassinella (Cuneo); Ornien (Alessandria). Lombardia: Frassin; Avorgnel, Frasenella, Orno, Uniz (Bergamo); Frasen, Froessen, Gel, Oesa, Uren (Brescia); Frassin fals, Nosice (Como); Frassen, Lusa (Mantova). Veneto: Frassano (Verona); Frassen mascio, Frassen ornaz, Frassen spinarel, Frassen vach, Frassenella, Orn (Belluno); Ornaro (Vicenza); Orner, Albro (Treviso). Friuli: Frassin, Uarn, Uarr, Vuarn, Vuarr. Emilia-Romagna: Frassen, Frassin (Reggio); Ighene (Piacenza); Orn (Romagna). Toscana: Avornello, Avornio, Costolo, Nocicchio, Ornello, Orniello, Ornio; Aborniello (Siena); Frassan (Lunigiana); Nocisto (Arezzo). Abruzzi: Orn, Ornellu, Uorne, Uornielle, Urnelle, Urnielle; Oriniello, Teniello (Camporosso); Orneglio, Orniello (L’Aquila); Rinello, Riniello (Larino). Campania: Frasso (Napoli); Ornatello, Orno, Uorno (Terra di Lavoro); Orniello (Ischia); Uorno (Avellino). Puglia: Vornolo (Lecce). Basilicata: Leccorno, Amilejo (Potenza). Calabria: Amejeju, Amejer, Mileju; Olilijo, Urno (Cosenza). Sicilia: Amiddeu, Arvulu di manna, Frascinu di manna, Frascinu, Middeu, Muddia; Dardaru (Prizzi). Sardegna: Frassu de manna.
Forma biologica e di crescita: fanerofita caducifoglia.
Tipo corologico: Europa meridionale e orientale (Spagna centrorientale e Baleari, Provenza, Corsica, Italia, dall’Austria all’Ungheria a tutta la Penisola Balcanica, alla Turchia meridionale e alla regione pontica). Il limite settentrionale della specie è l'arco alpino e la valle del Danubio mentre il limite orientale è la Siria e l'Anatolia.
Fenologia: fiore: IV-V, frutto: VII-IX.
Limiti altitudinali: da 0 a 1400 m di altitudine nell’Appennino meridionale e in Sicilia, mentre sulle Alpi non supera in genere i 600 m.
Abbondanza relativa e distribuzione geografica in Italia: nel nostro Paese è comunissimo in tutta la penisola, dalla fascia prealpina del Carso, fino ai laghi lombardi; penetra nelle valli principali fino al cuore delle Alpi risalendo le pendici montane fin verso i 600-700 m di altitudine. Nella Pianura Padana è quasi assente, torna a popolare gli Appennini settentrionali e centrali, in particolare sulla costa adriatica. Presente nelle isole maggiori. Nelle regioni occidentali diviene progressivamente rara, fino a formare tipi localizzati, di cui non è sicura però la distinzione.
Habitus: albero od arbusto che può raggiungere i 7-8 m di altezza, con tronco diritto, rami eretti, opposti, apparentemente contorti, ramoscelli patenti, ingrossati ai nodi, corteccia liscia, di colore cenerognolo sul tronco, verde intenso sui rami. Gemme rossicce e tomentose. Specie a crescita rapida con longevità non elevata (circa 100 anni).
Foglie: lunghe fino a 25 cm, opposte, composte, imparipennate, con picciolo e rachide solcati, verdognoli, pubescenti, fulvi, e foglioline in numero di 5-9 (più spesso 7) di cui le laterali misurano 5-10 cm, con un picciolo proprio, anch’esso solcato e lembo da ellittico lanceolato a ovato rotondato, di colore verde chiaro, con base attenuata, apice acuminato, contorno serrato dentato, nervature sporgenti e pubescenti fulve sulla pagina inferiore, mentre la superiore è glabra.
Fiore: fiori bianchi, odorosi, in massima parte ermafroditi, sviluppati, dopo le foglie, in dense pannocchie delle quali una è terminale, le altre ascellari delle foglie superiori del ramo corrispondente; peduncoli eretto patenti, opposti, un po’ schiacciati, pedicelli cilindrici, verdognoli, glabri e più brevi dei fiori. Calice campanulato, diviso in 4 lacinie disuguali, strettamente lanceolate, giallo verdognole; corolla con 4 lobi eretto patenti, lineari ottusi e disuguali, aderenti fra di loro due a due, lunghi 5-6 mm. Androceo di 2 stami eretto patenti, lunghi come le maggiori lacinie corolline, con filamenti filiformi e bianchi, antere ovali, biloculari, glabre, gialle, a deiscenza longitudinale; gineceo con ovario ovato, schiacciato, glabro, verde, sormontato da uno stilo allungato, speso ricurvo, bianchiccio, con stimma ben sviluppato, bilobo e giallognolo.
Frutto: samara compressa, biloculare, oblunga cuneata alla base ampiamente alata all'apice, lunga 2-3 cm.
Semi: un unico seme compresso di circa 1 cm.
Polline: grani pollinici monadi, radio simmetrici, isopolari; perimetro: visione polare subtriangolari, pticotremi, visione equatoriale subcircolari 20%, ovali 70%, ellittici 10%; forma: prolato sferoidali 20%, subprolati 70%, prolati 10%; trizonocolpati; aperture colpi: a clessidra, per leggera costrizione mediana, con margo; esina: subtectata, medio reticolata, psilata; dimensioni: asse polare 28 (25) 22 µm, asse equatoriale 23 (21) 18 µm.
Habitus: albero od arbusto che può raggiungere i 7-8 m di altezza, con tronco diritto, rami eretti, opposti, apparentemente contorti, ramoscelli patenti, ingrossati ai nodi, corteccia liscia, di colore cenerognolo sul tronco, verde intenso sui rami. Gemme rossicce e tomentose. Specie a crescita rapida con longevità non elevata (circa 100 anni).
Foglie: lunghe fino a 25 cm, opposte, composte, imparipennate, con picciolo e rachide solcati, verdognoli, pubescenti, fulvi, e foglioline in numero di 5-9 (più spesso 7) di cui le laterali misurano 5-10 cm, con un picciolo proprio, anch’esso solcato e lembo da ellittico lanceolato a ovato rotondato, di colore verde chiaro, con base attenuata, apice acuminato, contorno serrato dentato, nervature sporgenti e pubescenti fulve sulla pagina inferiore, mentre la superiore è glabra.
Fiore: fiori bianchi, odorosi, in massima parte ermafroditi, sviluppati, dopo le foglie, in dense pannocchie delle quali una è terminale, le altre ascellari delle foglie superiori del ramo corrispondente; peduncoli eretto patenti, opposti, un po’ schiacciati, pedicelli cilindrici, verdognoli, glabri e più brevi dei fiori. Calice campanulato, diviso in 4 lacinie disuguali, strettamente lanceolate, giallo verdognole; corolla con 4 lobi eretto patenti, lineari ottusi e disuguali, aderenti fra di loro due a due, lunghi 5-6 mm. Androceo di 2 stami eretto patenti, lunghi come le maggiori lacinie corolline, con filamenti filiformi e bianchi, antere ovali, biloculari, glabre, gialle, a deiscenza longitudinale; gineceo con ovario ovato, schiacciato, glabro, verde, sormontato da uno stilo allungato, speso ricurvo, bianchiccio, con stimma ben sviluppato, bilobo e giallognolo.
Frutto: samara compressa, biloculare, oblunga cuneata alla base ampiamente alata all'apice, lunga 2-3 cm.
Semi: un unico seme compresso di circa 1 cm.
Polline: grani pollinici monadi, radio simmetrici, isopolari; perimetro: visione polare subtriangolari, pticotremi, visione equatoriale subcircolari 20%, ovali 70%, ellittici 10%; forma: prolato sferoidali 20%, subprolati 70%, prolati 10%; trizonocolpati; aperture colpi: a clessidra, per leggera costrizione mediana, con margo; esina: subtectata, medio reticolata, psilata; dimensioni: asse polare 28 (25) 22 µm, asse equatoriale 23 (21) 18 µm.
Numero cromosomico: 2n = 46.
Sottospecie e/o varietà: l’orniello è pianta ornamentale di cui sono state ottenute numerose cultivar frequentemente impiegate nei parchi e nelle alberature..
Habitat ed ecologia: abita preferibilmente boscaglie degradate nell'area submediterranea. Specie piuttosto termofila e xerofila preferisce le zone di pendio alle vallette ombrose e fresche. Si comporta da ottima pianta pioniera, rustica, non possiede particolari esigenze podologiche. Tollera bene i substrati calcarei e resiste bene alla siccità.
Syntaxon (syntaxa) di riferimento:In area mediterranea nel Quercion ilicis; in ambito prealpino nella boscaglia illirica del Fraxino orni-Ostryon carpinifoliae
Life-strategy (sensu Grime & Co.): Competitive (C) + Stress tolleranti (S).
IUCN: N.A.
Farmacopea: specialmente in Calabria ed in Sicilia si ottiene, dalle piante di 8-20 anni e mediante incisioni verticali, praticate nel tronco durante la stagione calda ed asciutta, un essudato giallastro, la “manna di frassino” (Manna F.I.), che si rapprende all’aria e viene raccolto sotto l’albero come una massa biancastra (manna in sorte) od aderente al tronco in stalattiti più o meno voluminose (manna in cannelle), od anche in gocce (manna in grani). La manna si trova in commercio in pezzi allungati, appiattiti, un po’ curvi, duri, bianco giallastri, dotati di lucentezza grassa, untuosi alla superficie, di consistenza molle all’umidità ed al calore, di odore tenue e caratteristico e di sapore dolciastro, leggermente acidulo, che ricorda quello del miele. Si usa come lassativo, in forma di decotti o di sciroppo, o sciolta nel latte in dose di 10-20 g al giorno, ed anche associata ad altri rimedi, per esempio alla senna, per la preparazione di pozioni purganti. La manna è soprattutto un lassativo leggero, esente da controindicazioni, particolarmente adatto alla primissima infanzia, alle persone molto anziane, debilitate, convalescenti. Nella medicina popolare serviva anche come rimedio contro la tosse.
Avversità: fra le numerose avversità che colpiscono l’orniello, vi sono da considerare i parassiti animali: gli adulti di Lytta vescicatoria attaccano le foglie divorando solo il lembo e lasciando intatte le nervature (cantaride); le larve di Cionus fraxini rodono le gemme e le foglie lasciando intatta solo l'epidermide superiore che ben presto imbrunisce e dissecca, gli adulti attaccano in primavera le giovani gemme (ciono); gli adulti di Lepersinus fraxini scavano gallerie nella corteccia che appare perforata in più punti screpolandosi, col tempo si forma una fitta rete di piccole gallerie che indeboliscono la parte di pianta attaccata (ilesino); le larve di Tomostethus melanopygus divorano le foglie lasciando intatte le sole nervature con grave defoliazione della chioma (tentrenide); l’afide che provoca vistose deformazioni ai germogli e imbratta di melata la vegetazione (Prociphilus fraxini); lo Psyllopsis fraxini (psilla del frassino); cocciniglie infestanti rami e vegetazione (Chionaspis salicis, Eulecanium sp., Pulvinaria sp., ecc.); rodilegno giallo e rosso infestanti gli organi legnosi; galle fogliari da larve di ditteri cecidomidi; danni da larve di lepidotteri defogliatori di diverse specie; danni agli organi da coleotteri scolitidi; danni all’infiorescenza da acari eriofidi che producono galle vistose (Aceria fraxinivora); danni fogliari da ragnetto rosso (T. urticae).
Tra gli agenti di malattia (funghi, batteri ed entità infettive) sono da annoverare: funghi che provocano la carie del legno: Fomes ignarius e F. fomentarius attaccano il legno profondamente con perdita di consistenza e assunzione di un aspetto spugnoso biancastro per la distruzione della lignina, i corpi fruttiferi dei parassiti sono visibili all'esterno dei tronchi attaccati e sono a forma di mensola o zoccolo; stesso tipo di danno causa la Schizophthora omnivora con corpi fruttiferi a forma di orecchiette grigiastre. Funghi che provocano il marciume delle piantine: Phytophthora omnivora colpisce le giovani piantine nei semenzai con lesioni necrotiche del colletto. Funghi che provocano l’oidio o mal bianco: Microsphaera alni, Phyllactinia sufflata e Phyllactinia guttata: attaccano le foglie ed i giovani rametti verdi, provocando chiazze biancastre polverulenti a consistenza feltrosa che nel tempo imbruniscono disseccando le parti colpite. Cancri rameali ad eziologia fungina provocati da Nectria galligena. Danni batterici sugli organi provocati da Pseudomonas fraxinii. Marciumi radicali fungini da Armillaria mellea. Maculature fogliari ad eziologie fungine (Cercospora sp., Mycosphaerella sp.).
Usi: l'orniello è una specie interessante per la silvicoltura, in quanto può essere considerata una specie pioniera, resistendo a condizioni climatiche difficili, adatta quindi al rimboschimento di terreni aridi e siccitosi. In Toscana nei vigneti viene frequentemente utilizzata come sostegno ai filari di vite (in Lunigiana e Garfagnana, dove individui isolati di una certa monumentalità spiccano nella campagna ondulata). Si moltiplica facilmente con la semina. In silvicoltura è adatto per il rimboschimento di suoli poveri, aridi, calcarei o argillosi. Viene utilizzata come pianta ornamentale in parchi e giardini di grandi dimensioni, anche su terreni secchi e poco profondi. Dalla sua corteccia si estraggono tannini. Le foglie sono utilizzate come foraggio per il bestiame in zone povere di pascoli. Utilizzato per la produzione di legname dato che il legno di orniello ha il durame bruno chiaro, con anelli ben distinti e provvisti di grossi vasi nella zona primaverile, è elastico e resistente, facilmente lavorabile viene usato industrialmente per la produzione di mobilio, per lavori al tornio e come ottimo combustibile. Legno celebre per la durezza ed elasticità che gli consentono di resistere a sollecitazioni pesanti senza spezzarsi, tanto è vero che lo si usava fino agli anni Cinquanta, prima dell’utilizzazione del metallo e della plastica, per fabbricare sci, remi e alberi delle barche, per manici di utensili, bastoni da hockey e racchette da tennis. Le foglie secche e triturate e i frutti posti in infuso in acqua bollente forniscono il tè di frassino. Le foglie fermentate con acqua e saccarosio servono per preparare bevande alcoliche.
Miti, leggende e simboli: In Irlanda, terra celtica, tre dei cinque alberi sacri, il cui abbattimento nel 665 d.C. segnò il trionfo del cristianesimo sulla religione tradizionale, erano frassini. Fra i Celti essi erano considerati simboli di rinascita e capaci di operare guarigioni miracolose. Fino al principio del secolo scorso nella contea inglese di Selborne era usanza, prima del levar del sole, far passare nudo un bambino malato di ernia o di rachitismo nel cavo di un vecchio frassino cimato; oppure, dopo aver praticato un taglio longitudinale in una pianta giovane, lo si faceva passare nella fenditura tre volte, o tre volte per tre. Poi, richiusa la fenditura con argilla, si legava il tronco: se il taglio si cicatrizzava, l’ernia sarebbe scomparsa; se restava aperto, sarebbe rimasta. Chi ne aveva goduto i benefici vegliava sull’albero perché, se lo si fosse abbattuto, non soltanto ricompariva la malattia ma si aggiungeva una cancrena che portava alla morte.
Nell’alfabeto arboreo celtico il frassino era il terzo albero della serie e designava il mese che precedeva l’equinozio di primavera. Per questo motivo, fino a un secolo fa, in Francia si usava accendere il fuoco nuovo con il suo legno chiedendogli di far scendere le prime piogge di primavera affinché rianimassero la vegetazione dopo il lungo inverno.
In Grecia il frassino era abitato dalle ninfe melíadi. Esiodo racconta che Urano generò i Titani dalla Madre Terra dopo aver cacciato i suoi figli ribelli, i Ciclopi, nel Tartaro, un luogo così distante dalla terra che un’incudine di ferro precipitava per nove giorni prima di toccare il fondo. Per vendicarsi Madre Terra convinse il più giovane dei Titani, Crono, a evirarlo con un falcetto. Gocce di sangue sgorgate dalla ferita caddero sulla Madre Terra che generò le Erinni, i Giganti e infine le ninfe melíadi immagini greche della Triplice Dea del frassino [Esiodo, Teogonia, 133-187]. I mitografi greci narrano anche di Melía, la ninfa del frassino, che sposò Inaco al quale diede tre figli: Eialeo, Fegeo e Foroneo. Quest’ultimo, oltre ad aver fondato una città-mercato, chiamata poi Argo, du il primo a scoprire l’uso del fuoco dopo che Prometeo l’ebbe rubato.
In greco il frassino (Fraxinus excelsior L.) si chiamava bumelía, da bu, prefisso che significava grande, e melía, frassino. Senza il prefisso bu-, melía indicava un altro frassino, l’orniello (Fraxinus ornus L.), diffuso ancora oggi in Grecia; ma era anche il nome della ninfa del frassino. Melía ha la stessa radice di méli, miele. L’accostamento non è casuale dato che l’orniello è chiamato “frassino da manna”. Un tempo si sosteneva che la manna biblica potesse essere la linfa viscosa e zuccherina di questi alberi. In realtà gli ornielli non esistono nel deserto del Sinai, dove invece cresce un lichene appartenente al genere Lecanora, il quale, seccato e ridotto in polvere dal sole, viene poi trasportato dal vento e ricade a terra sotto forma di scaglie bianchicce e commestibili. I Greci chiamavano la manna “il miele dell’aria” o “miele di rugiada”, e che, nel XVI secolo, Mattioli avrebbe considerato un escremento sceso dagli astri.
Secondo Esiodo la terza stirpe di uomini, quella di bronzo, era “discesa dai frassini” [Esiodo, Le opere e i giorni, 143-146]:.
Life-strategy (sensu Grime & Co.): Competitive (C) + Stress tolleranti (S).
IUCN: N.A.
Farmacopea: specialmente in Calabria ed in Sicilia si ottiene, dalle piante di 8-20 anni e mediante incisioni verticali, praticate nel tronco durante la stagione calda ed asciutta, un essudato giallastro, la “manna di frassino” (Manna F.I.), che si rapprende all’aria e viene raccolto sotto l’albero come una massa biancastra (manna in sorte) od aderente al tronco in stalattiti più o meno voluminose (manna in cannelle), od anche in gocce (manna in grani). La manna si trova in commercio in pezzi allungati, appiattiti, un po’ curvi, duri, bianco giallastri, dotati di lucentezza grassa, untuosi alla superficie, di consistenza molle all’umidità ed al calore, di odore tenue e caratteristico e di sapore dolciastro, leggermente acidulo, che ricorda quello del miele. Si usa come lassativo, in forma di decotti o di sciroppo, o sciolta nel latte in dose di 10-20 g al giorno, ed anche associata ad altri rimedi, per esempio alla senna, per la preparazione di pozioni purganti. La manna è soprattutto un lassativo leggero, esente da controindicazioni, particolarmente adatto alla primissima infanzia, alle persone molto anziane, debilitate, convalescenti. Nella medicina popolare serviva anche come rimedio contro la tosse.
Avversità: fra le numerose avversità che colpiscono l’orniello, vi sono da considerare i parassiti animali: gli adulti di Lytta vescicatoria attaccano le foglie divorando solo il lembo e lasciando intatte le nervature (cantaride); le larve di Cionus fraxini rodono le gemme e le foglie lasciando intatta solo l'epidermide superiore che ben presto imbrunisce e dissecca, gli adulti attaccano in primavera le giovani gemme (ciono); gli adulti di Lepersinus fraxini scavano gallerie nella corteccia che appare perforata in più punti screpolandosi, col tempo si forma una fitta rete di piccole gallerie che indeboliscono la parte di pianta attaccata (ilesino); le larve di Tomostethus melanopygus divorano le foglie lasciando intatte le sole nervature con grave defoliazione della chioma (tentrenide); l’afide che provoca vistose deformazioni ai germogli e imbratta di melata la vegetazione (Prociphilus fraxini); lo Psyllopsis fraxini (psilla del frassino); cocciniglie infestanti rami e vegetazione (Chionaspis salicis, Eulecanium sp., Pulvinaria sp., ecc.); rodilegno giallo e rosso infestanti gli organi legnosi; galle fogliari da larve di ditteri cecidomidi; danni da larve di lepidotteri defogliatori di diverse specie; danni agli organi da coleotteri scolitidi; danni all’infiorescenza da acari eriofidi che producono galle vistose (Aceria fraxinivora); danni fogliari da ragnetto rosso (T. urticae).
Tra gli agenti di malattia (funghi, batteri ed entità infettive) sono da annoverare: funghi che provocano la carie del legno: Fomes ignarius e F. fomentarius attaccano il legno profondamente con perdita di consistenza e assunzione di un aspetto spugnoso biancastro per la distruzione della lignina, i corpi fruttiferi dei parassiti sono visibili all'esterno dei tronchi attaccati e sono a forma di mensola o zoccolo; stesso tipo di danno causa la Schizophthora omnivora con corpi fruttiferi a forma di orecchiette grigiastre. Funghi che provocano il marciume delle piantine: Phytophthora omnivora colpisce le giovani piantine nei semenzai con lesioni necrotiche del colletto. Funghi che provocano l’oidio o mal bianco: Microsphaera alni, Phyllactinia sufflata e Phyllactinia guttata: attaccano le foglie ed i giovani rametti verdi, provocando chiazze biancastre polverulenti a consistenza feltrosa che nel tempo imbruniscono disseccando le parti colpite. Cancri rameali ad eziologia fungina provocati da Nectria galligena. Danni batterici sugli organi provocati da Pseudomonas fraxinii. Marciumi radicali fungini da Armillaria mellea. Maculature fogliari ad eziologie fungine (Cercospora sp., Mycosphaerella sp.).
Usi: l'orniello è una specie interessante per la silvicoltura, in quanto può essere considerata una specie pioniera, resistendo a condizioni climatiche difficili, adatta quindi al rimboschimento di terreni aridi e siccitosi. In Toscana nei vigneti viene frequentemente utilizzata come sostegno ai filari di vite (in Lunigiana e Garfagnana, dove individui isolati di una certa monumentalità spiccano nella campagna ondulata). Si moltiplica facilmente con la semina. In silvicoltura è adatto per il rimboschimento di suoli poveri, aridi, calcarei o argillosi. Viene utilizzata come pianta ornamentale in parchi e giardini di grandi dimensioni, anche su terreni secchi e poco profondi. Dalla sua corteccia si estraggono tannini. Le foglie sono utilizzate come foraggio per il bestiame in zone povere di pascoli. Utilizzato per la produzione di legname dato che il legno di orniello ha il durame bruno chiaro, con anelli ben distinti e provvisti di grossi vasi nella zona primaverile, è elastico e resistente, facilmente lavorabile viene usato industrialmente per la produzione di mobilio, per lavori al tornio e come ottimo combustibile. Legno celebre per la durezza ed elasticità che gli consentono di resistere a sollecitazioni pesanti senza spezzarsi, tanto è vero che lo si usava fino agli anni Cinquanta, prima dell’utilizzazione del metallo e della plastica, per fabbricare sci, remi e alberi delle barche, per manici di utensili, bastoni da hockey e racchette da tennis. Le foglie secche e triturate e i frutti posti in infuso in acqua bollente forniscono il tè di frassino. Le foglie fermentate con acqua e saccarosio servono per preparare bevande alcoliche.
Miti, leggende e simboli: In Irlanda, terra celtica, tre dei cinque alberi sacri, il cui abbattimento nel 665 d.C. segnò il trionfo del cristianesimo sulla religione tradizionale, erano frassini. Fra i Celti essi erano considerati simboli di rinascita e capaci di operare guarigioni miracolose. Fino al principio del secolo scorso nella contea inglese di Selborne era usanza, prima del levar del sole, far passare nudo un bambino malato di ernia o di rachitismo nel cavo di un vecchio frassino cimato; oppure, dopo aver praticato un taglio longitudinale in una pianta giovane, lo si faceva passare nella fenditura tre volte, o tre volte per tre. Poi, richiusa la fenditura con argilla, si legava il tronco: se il taglio si cicatrizzava, l’ernia sarebbe scomparsa; se restava aperto, sarebbe rimasta. Chi ne aveva goduto i benefici vegliava sull’albero perché, se lo si fosse abbattuto, non soltanto ricompariva la malattia ma si aggiungeva una cancrena che portava alla morte.
Nell’alfabeto arboreo celtico il frassino era il terzo albero della serie e designava il mese che precedeva l’equinozio di primavera. Per questo motivo, fino a un secolo fa, in Francia si usava accendere il fuoco nuovo con il suo legno chiedendogli di far scendere le prime piogge di primavera affinché rianimassero la vegetazione dopo il lungo inverno.
In Grecia il frassino era abitato dalle ninfe melíadi. Esiodo racconta che Urano generò i Titani dalla Madre Terra dopo aver cacciato i suoi figli ribelli, i Ciclopi, nel Tartaro, un luogo così distante dalla terra che un’incudine di ferro precipitava per nove giorni prima di toccare il fondo. Per vendicarsi Madre Terra convinse il più giovane dei Titani, Crono, a evirarlo con un falcetto. Gocce di sangue sgorgate dalla ferita caddero sulla Madre Terra che generò le Erinni, i Giganti e infine le ninfe melíadi immagini greche della Triplice Dea del frassino [Esiodo, Teogonia, 133-187]. I mitografi greci narrano anche di Melía, la ninfa del frassino, che sposò Inaco al quale diede tre figli: Eialeo, Fegeo e Foroneo. Quest’ultimo, oltre ad aver fondato una città-mercato, chiamata poi Argo, du il primo a scoprire l’uso del fuoco dopo che Prometeo l’ebbe rubato.
In greco il frassino (Fraxinus excelsior L.) si chiamava bumelía, da bu, prefisso che significava grande, e melía, frassino. Senza il prefisso bu-, melía indicava un altro frassino, l’orniello (Fraxinus ornus L.), diffuso ancora oggi in Grecia; ma era anche il nome della ninfa del frassino. Melía ha la stessa radice di méli, miele. L’accostamento non è casuale dato che l’orniello è chiamato “frassino da manna”. Un tempo si sosteneva che la manna biblica potesse essere la linfa viscosa e zuccherina di questi alberi. In realtà gli ornielli non esistono nel deserto del Sinai, dove invece cresce un lichene appartenente al genere Lecanora, il quale, seccato e ridotto in polvere dal sole, viene poi trasportato dal vento e ricade a terra sotto forma di scaglie bianchicce e commestibili. I Greci chiamavano la manna “il miele dell’aria” o “miele di rugiada”, e che, nel XVI secolo, Mattioli avrebbe considerato un escremento sceso dagli astri.
Secondo Esiodo la terza stirpe di uomini, quella di bronzo, era “discesa dai frassini” [Esiodo, Le opere e i giorni, 143-146]:.
E Zeus padre creò una terza stirpe di uomini mortali
– di bronzo, per niente simile a quella d’argento –
dal frassino, spaventosa e violenta: a loro cari erano
le gesta funeste e i crimini di Ares; e non si cibavano
di pane, ma avevano un intrepido animo d’acciaio,
mostruosi: grande forza e invincibili braccia
dalle spalle fiorivano su membra possenti:
ed avevano bronzee armi, dimore di bronzo,
e col bronzo lavoravano: ché il nero ferro non esisteva.
e soccombendo alle loro stesse braccia,
giunsero alla tenebrosa dimora dell’orrido Ade,
senza lasciare orme sulla terra; e pur terribili
– di bronzo, per niente simile a quella d’argento –
dal frassino, spaventosa e violenta: a loro cari erano
le gesta funeste e i crimini di Ares; e non si cibavano
di pane, ma avevano un intrepido animo d’acciaio,
mostruosi: grande forza e invincibili braccia
dalle spalle fiorivano su membra possenti:
ed avevano bronzee armi, dimore di bronzo,
e col bronzo lavoravano: ché il nero ferro non esisteva.
e soccombendo alle loro stesse braccia,
giunsero alla tenebrosa dimora dell’orrido Ade,
senza lasciare orme sulla terra; e pur terribili
la morte nera li colse, e lasciarono il lume raggiante del sole.
Esiodo accosta il frassino al bronzo perché erano entrambi simboli di durezza: le armi degli Elleni erano di bronzo con i manici di frassino, come la veloce asta di Aiace Telamonio, re di Salamina, descritta nell’Iliade. Un’altra asta famosa era quella che poteva impugnare soltanto Achille [Omero, Iliade, XVI, 139-144]:
[Patroclo] prese due forti lance adatte alla sua mano,
ma non prese l’asta dell’Eacide perfetto,
grande, pesante, solida: nessuno dei Danai poteva
brandirla, tranne Achille: frassino del Pelio
che Chirone donato aveva a suo padre
grande, pesante, solida: nessuno dei Danai poteva
brandirla, tranne Achille: frassino del Pelio
che Chirone donato aveva a suo padre
per dar morte ai guerrieri.
In mano ad Achille essa diventerà l’arma micidiale che ucciderà Ettore [Omero, Iliade, XXII, 326-329]:
Qui Achille glorioso lo colse con l’asta mentre infuriava,
dritta corse la punta attraverso il morbido collo;
ma il greve frassino non gli tagliò la strozza,
dritta corse la punta attraverso il morbido collo;
ma il greve frassino non gli tagliò la strozza,
così che egli poteva parlare, scambiando parole.
Biomonitor dell’aridità ambientale: l’Università degli studi di Trieste ha condotto uno studio sulla Misura dello stato idrico di Fraxinus ornus L. quale biomonitor dell'aridità ambientale in siti diversi del Carso triestino di cui si menziona l’estratto:
L'aridità è una condizione ambientale che comporta una ridotta disponibilità d'acqua per le piante all'interno del suolo. La disponibilità d'acqua rappresenta, unitamente alla temperatura, il fattore ambientale che più di ogni altro condiziona la distribuzione e la produttività primaria della vegetazione. Poiché una prolungata aridità ambientale ha serie conseguenze sulla produttività degli ecosistemi forestali e sulla sopravvivenza di alcune specie vegetali meno competitive di altre in tali condizioni, è di fondamentale importanza quantificare il livello di aridità ambientale per poterne prevedere l'impatto attuale e le tendenze in atto. Il progetto di ricerca si poneva quindi l’obiettivo di individuare e definire un indice di aridità ambientale, che consentisse di rappresentare le relazioni che la pianta contrae con l’acqua presente nell’ambiente in funzione della risposta fisiologica della pianta al variare del contenuto idrico del suolo, attraverso un valore unico a significato ecofisiologico. L'individuazione di un parametro ecofisiologico in grado di stimare in modo affidabile l'impatto dello stress idrico poneva le basi per valutare possibili correlazioni con parametri ottenibili con il telerilevamento. Un'altra finalità del lavoro era, infatti, l'individuazione di un parametro di riferimento mediante l'utilizzo di tecniche di telerilevamento da satellite da applicare nello “scaling up” ecologico, che a partire dallo studio dell'impatto dello stress idrico su singole specie potesse indagare sistemi di vegetazione sempre più grandi nell'ottica di sviluppare una visione olistica di grandi aree in relazione all'aridità ambientale. La specie vegetale che è stata scelta come potenziale biomonitor è Fraxinus ornus L. ossia l'orniello, che è stato selezionato in quanto trattasi di una specie vegetale che si distingue per la notevole capacità di resistenza a condizioni di stress idrico e proprio per questa sua capacità, è una specie diffusa in una grande varietà di ambienti. L'area di studio scelta è stata la provincia di Trieste ed in particolare l'area carsica. Questa zona, infatti, offre l'opportunità di eseguire significativi biomonitoraggi per valutazioni quantitative e qualitative sull'ambiente, in quanto presenta una elevata variabilità di substrati litologici, costituiti da rocce soggette a fenomeni di dissoluzione da parte delle acque meteoriche chimicamente aggressive (rocce carsificabili), a cui sono associati diversi tipi di circolazione idrica. La presenza di una fitta rete di fessure e fratture nei substrati geologici a tratti determina un forte drenaggio dell'acqua all'interno del suolo dovuto a percolamento della stessa verso gli strati più profondi. Nella zona del Carso triestino, sono state selezionate 21 stazioni in base ad un criterio geomorfologico noto come carsificabilità, che misura in modo indiretto e qualitativo la capacità di campo di un suolo, e in modo tale da ricoprire tutto il territorio dell'area carsica all'interno della provincia di Trieste. Al fine di identificare quale fosse il parametro fisiologico o morfologico che meglio si addicesse allo scopo della ricerca, sono stati misurati nel periodo da Maggio a Settembre i parametri relativi alle relazioni pianta-acqua generalmente correlati allo stress idrico e cioè la conduttanza fogliare al vapore d'acqua (gL), il potenziale dell'acqua della foglia (Ψfoglia) e la conduttanza idraulica della foglia (Kfoglia). Contestualmente, sono stati misurati anche i diametri dei vasi xilematici. Grazie all'analisi di questi parametri è stato possibile eseguire uno studio biofisico accurato del comportamento idraulico dell'orniello in condizioni di limitazione della disponibilità d'acqua. Da questi dati emerge che la conduttanza fogliare al vapore d'acqua (gL) è il parametro più affidabile a rappresentare l'indice di aridità ambientale, in quanto è risultato essere il più sensibile alle variazioni nella disponibilità d'acqua. Il tentativo di integrare i dati di campo relativi a gL con quelli ottenuti mediante elaborazione di immagini satellitari non ha portato ai risultati sperati. L'indice ottenuto da dati telerilevati è risultato poco promettente come indice di riferimento per la realizzazione di uno “scaling-up”, in quanto non è risultato essere in grado di rilevare condizioni di stress idrico in aree caratterizzate da forte drenaggio dell'acqua (aree ad alta carsificabilità). L'applicabilità delle tecniche di telerilevamento da satellite nel monitoraggio dell'aridità ambientale risulta quindi fortemente limitata dalla struttura geomorfologica del territorio oggetto di studio. (Emmanuelle Gortan, http://hdl.handle.net/10077/2658).
Bibliografia:
ANTHONY M., SATTLER R. Morphogenetic potential of Fraxinus ornus under the influence of the gall mite Aceria fraxinivora. Canadian Journal of of Botany, 61, 6, 1580-1594, 1983.
BANFI E., CONSOLINO F., Alberi (Conosceree risconoscere tutte le specie più diffuse di alberi spontanei e ornamentali), Istituto Geografico De Agostini SpA, Novara, 2001.
BONI U, PATRI G., Scoprire, riconoscere, usare le erbe, Edizione Mondolibri SpA, Milano, 2000.
CATTABIANI C, Florario (Miti, leggende e simboli di fiori e piante), Oscar Saggi Mondadori, I edizione, 1998.
DE LEONARDIS W., PICCIONE V., ZIZZA A. (Istituto e Orto botanico, Università degli Studi di Catania), Flora melissopalinologica d’Italia. Chiavi d’identificazione, Bollettino Accademia Gioenia Scienze Naturali, Vol. 19, n. 329, pp. 309-474, Catania 1986.
DOMMÉE B,, GESLOT A., THOMPSON J,D., REILLE M., DENELLE N. Androdioecy in the entomophilous tree Fraxinus ornus (Oleaceae), New Phytologist, 143, 2, 419–426, 1999
FERRARI M., MEDICI D., Alberi e arbusti in Italia (Manuale di riconoscimento), Edagricole, Bologna 2001.
LAUBER K., WAGNER G., Flora Helvetica (Flore illustrée de Suisse), 2ème édition, Editions Paul Haupt, 2001.
MISITANO F. Indagine conoscitiva sulla produzione di manna in Sicilia. Essenze e derivati agrumari, 65, 3, 411-418, 1995,
NEGR G.I, Nuovo erbario figurato (Descrizione e proprietà delle piante medicinali e velenose della flora italiana), V edizione, Ulrico Hoepli, Milano1991.
THÉBAUD C., DEBUSSCHE M., Rapid Invasion of Fraxinus ornus L. Along the Hérault River System in Southern France: The Importance of Seed Dispersal by Water, Journal of Biogeography 18, 1, 7-12, 1991,
TICLI B., Enciclopedia degli alberi d’Italia e d’Europa, De Vecchi Editore, Milano 2007.
www.dryades.eu
L'aridità è una condizione ambientale che comporta una ridotta disponibilità d'acqua per le piante all'interno del suolo. La disponibilità d'acqua rappresenta, unitamente alla temperatura, il fattore ambientale che più di ogni altro condiziona la distribuzione e la produttività primaria della vegetazione. Poiché una prolungata aridità ambientale ha serie conseguenze sulla produttività degli ecosistemi forestali e sulla sopravvivenza di alcune specie vegetali meno competitive di altre in tali condizioni, è di fondamentale importanza quantificare il livello di aridità ambientale per poterne prevedere l'impatto attuale e le tendenze in atto. Il progetto di ricerca si poneva quindi l’obiettivo di individuare e definire un indice di aridità ambientale, che consentisse di rappresentare le relazioni che la pianta contrae con l’acqua presente nell’ambiente in funzione della risposta fisiologica della pianta al variare del contenuto idrico del suolo, attraverso un valore unico a significato ecofisiologico. L'individuazione di un parametro ecofisiologico in grado di stimare in modo affidabile l'impatto dello stress idrico poneva le basi per valutare possibili correlazioni con parametri ottenibili con il telerilevamento. Un'altra finalità del lavoro era, infatti, l'individuazione di un parametro di riferimento mediante l'utilizzo di tecniche di telerilevamento da satellite da applicare nello “scaling up” ecologico, che a partire dallo studio dell'impatto dello stress idrico su singole specie potesse indagare sistemi di vegetazione sempre più grandi nell'ottica di sviluppare una visione olistica di grandi aree in relazione all'aridità ambientale. La specie vegetale che è stata scelta come potenziale biomonitor è Fraxinus ornus L. ossia l'orniello, che è stato selezionato in quanto trattasi di una specie vegetale che si distingue per la notevole capacità di resistenza a condizioni di stress idrico e proprio per questa sua capacità, è una specie diffusa in una grande varietà di ambienti. L'area di studio scelta è stata la provincia di Trieste ed in particolare l'area carsica. Questa zona, infatti, offre l'opportunità di eseguire significativi biomonitoraggi per valutazioni quantitative e qualitative sull'ambiente, in quanto presenta una elevata variabilità di substrati litologici, costituiti da rocce soggette a fenomeni di dissoluzione da parte delle acque meteoriche chimicamente aggressive (rocce carsificabili), a cui sono associati diversi tipi di circolazione idrica. La presenza di una fitta rete di fessure e fratture nei substrati geologici a tratti determina un forte drenaggio dell'acqua all'interno del suolo dovuto a percolamento della stessa verso gli strati più profondi. Nella zona del Carso triestino, sono state selezionate 21 stazioni in base ad un criterio geomorfologico noto come carsificabilità, che misura in modo indiretto e qualitativo la capacità di campo di un suolo, e in modo tale da ricoprire tutto il territorio dell'area carsica all'interno della provincia di Trieste. Al fine di identificare quale fosse il parametro fisiologico o morfologico che meglio si addicesse allo scopo della ricerca, sono stati misurati nel periodo da Maggio a Settembre i parametri relativi alle relazioni pianta-acqua generalmente correlati allo stress idrico e cioè la conduttanza fogliare al vapore d'acqua (gL), il potenziale dell'acqua della foglia (Ψfoglia) e la conduttanza idraulica della foglia (Kfoglia). Contestualmente, sono stati misurati anche i diametri dei vasi xilematici. Grazie all'analisi di questi parametri è stato possibile eseguire uno studio biofisico accurato del comportamento idraulico dell'orniello in condizioni di limitazione della disponibilità d'acqua. Da questi dati emerge che la conduttanza fogliare al vapore d'acqua (gL) è il parametro più affidabile a rappresentare l'indice di aridità ambientale, in quanto è risultato essere il più sensibile alle variazioni nella disponibilità d'acqua. Il tentativo di integrare i dati di campo relativi a gL con quelli ottenuti mediante elaborazione di immagini satellitari non ha portato ai risultati sperati. L'indice ottenuto da dati telerilevati è risultato poco promettente come indice di riferimento per la realizzazione di uno “scaling-up”, in quanto non è risultato essere in grado di rilevare condizioni di stress idrico in aree caratterizzate da forte drenaggio dell'acqua (aree ad alta carsificabilità). L'applicabilità delle tecniche di telerilevamento da satellite nel monitoraggio dell'aridità ambientale risulta quindi fortemente limitata dalla struttura geomorfologica del territorio oggetto di studio. (Emmanuelle Gortan, http://hdl.handle.net/10077/2658).
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