Verbena officinalis L.

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Verbenaceae - Verbena officinalis L.; Pignatti 1982: n. 3073; Verbena officinalis L.
Plant List: accettato
Famiglia, nome latino per esteso Verbena officinalis L.
(a cura di Giuseppe Laino)

Etimologia: l’epiteto del genere verbena è il nome latino per indicare l’ ”erba sacra [Serv.], (nome classico dei Romani per le “piante d’altare, in generale) con la forma plurale verbenae, verbenarum = “zolle di erba sacra [Livio, Plinio] (staccate dalla cima del Campidoglio e portate dai Feziali, vedi oltre) ed anche verbenaca = “verbena” (pianta) [Plinio]; l’epiteto specifico officinalis (dal latino opificina, opifex) = “laboratorio, fabbrica, officina” (allusione al trattamento che viene eseguito in laboratorio per estrarre componenti e principi attivi dalla pianta per uso utilitaristico o medicinale).
Sinonimi: nessuno.
Nomi volgari: Colombina, Erba crocina, Verbena (italiano). Liguria: Barbenega; Barbana (Sella); Erba barbunea (Mele); Erba colombina, Erba milzea, Erba minsaea, Erba minza, Erba sminsa (Genova); Erba turca (Rapallo); Erbena (Mignanego). Piemonte: Barbegna, Barbena, Erba crouss, Erba sacra, Verbena; Coj dij pra (Foglizzo); Verbena servaja (Alessandria). Lombardia: Erba de San Giovann, Erba trona; Barbena, Erba della milza (Valtellina); Erba San Gioan (Brescia); Erba San Giovanni (Pavia); Erba del tron (Como). Veneto: Barbena (Treviso); Erba de S. Zuan, Erbena, Erbena, Erbeza (Verona), Friuli: Vermene; Jerbe sacre (Carnia). Romagna: Clumbeina, Crous. Toscana: Colombaria, Erba croce, Erba colombina, Erba crocina, Erba grana, Menta di S. Pietro, Sabiarella, Verbena; Berbena (Poggibonsi); Erba bona (Vicchio); Erba crocetta, Erba turca (Scandicci); Erba medica (Montespertoli); Erba sacra, Vermena, Vermenaca, Vermunaca (Pisa). Lazio: Erba di San Giovanni, Vermena (Roma). Abruzzi: Purcella mascule, Purecella; Forcella femina (Larino); Fronn'a lacce (L’Aquila). Campania: Vervena (Napoli, Ischia). Puglia: Barbna, Erba della milza (Lecce). Calabria: Erba de la crucivia. Sicilia: Birbina, Biribina, Erva crucina, Erva de la mivuza; Briina, Brivina (Etna); Virminaca (Avola). Sardegna: Brebena, Verbena.
Forma biologica e di crescita: emicriptofita scaposa.
Tipo corologico: paleotemperata, specie eurasiatica divenuta subcosmopolita.
Fenologia: fiore: V-IX, frutto: VI-X.
Limiti altitudinali: dal piano a 1400 m di altitudine.
Abbondanza relativa e distribuzione geografica in Italia: nel nostro Paese è assai comune in tutto il territorio continentale e insulare.
Habitus: erbacea perenne, a volte suffruticosa, con radice fusiforme e fusto eretto od ascendente (20-60 cm), glabro, quadrangolare, scabro agli angoli, canalicolato su due facce opposte, con ramificazioni espanse nella parte superiore.
Foglie: foglie opposte, ruvide, le inferiori, lunghe 3-6 cm, picciolate, hanno la lamina oblungo lanceolata o spatolata, lobata o inciso pennata. Le foglie intermedie sono tripartite, a segmenti incisi, con il segmento superiore romboidale e di maggiori dimensioni, irregolarmente crenate; le foglie superiori, opposte, sono progressivamente ridotte e dentate.
Fiore:
sessili, muniti di brattee ovali, acuminati e più brevi del calice, piccoli, tetrameri, roseo-lilacini, disposti in spighe gracili, allungate ed interrotte. Calice persistente, tubuloso, lungo 1,5-2,5 mm, quasi tetragono, con il lembo diviso in 4 o 5 denti dei quali 4 uguali, ovali ed acuti, il quinto posteriore, minimo; corolla ipocrateriforme, larga 4-5 mm, con tubo curvo, più lungo del calice (3-5 mm), un po’ dilatato superiormente, ma poi ristretto alla fauce, lembo obliquo, appianato, pentafido, a lacinie uguali arrotondate che accennano ad una disposizione bilabiata e con preflorazione embriciata. Androceo di 4 stami inclusi nel tubo corollino, didinami, a filamenti cortissimi ed antere incombenti, didime, a logge parallele deiscenti per il lungo; gineceo con ovario quadriloculare, con stilo grosso, terminale, semplice e stimma diviso in due labbra oblique disuguali.
Frutto:
capsula compressa lateralmente con l’apice infossato e perciò cuoriforme, munita esternamente di costole longitudinali anastomizzantesi alla sommità, a quattro logge, setticida.
Semi:
un solo seme per loggia.
Polline: granuli pollinici monadi, radiosimmetrici, isopolari; perimetro in visione polare: subtriangolari, goniotremi, in visione equatoriale: circolari 45%, subcircolari 35%, ovali 20%; forma: suboblati 20%, oblato sferoidali 75%, prolato sferoidali 5%; trizonocolporati (eterocolpati); aperture: tre colpi porati provvisti ciascuno di due pseudocolpi non porati ai due lati e di endocolpi trasversali; esina: tectata, scabrata; dimensioni: asse polare 30 (25) 22 mµ; asse equatoriale 29 (26) 22 mµ. Eccellente pianta mellifera: l’impollinazione è entomofila, effettuata prevalentemente dalle api..
Numero cromosomico: 2n = 14.
Sottospecie e/o varietà: nessuna.
Habitat ed ecologia: incolti, ruderi, massicciate ferroviarie, margini di strade; pianta nitrofila.
Syntaxon (syntaxa) di riferimento: Plantaginetalia majoris.
Life-strategy (sensu Grime & Co.): stress-tollerante(S).
IUCN: N.A.
Farmacopea:
le sommità fiorite di verbena e le sue foglie, seccate all’aria ed all’ombra, hanno odore aromatico e sapore amaro piuttosto sgradevole. Contengono un glucoside (0,2%, verbenalina), un olio essenziale mescolanza di un chetone (verbenone) con geraniolo, citrale e limonene, sostanze tanniche ed amare, mucillaggine, emulsina, invertina, ecc. La verbenalina determina, in via sperimentale, contrazioni cloniche e tetaniche, che possono andare fino alla paralisi completa; i preparati della droga sono usati in quanto esercitano una moderata azione analgesica e Leclerc riferisce di avere effettivamente ottenuto buoni risultati, in soggetti sofferenti di nevralgie del trigemino, con la somministrazione di estratto fluido della pianta stabilizzata. La Verbena è tuttavia piuttosto impiegata come amaro tonico nelle condizioni di esaurimento per clorosi, anemia, crisi della pubertà e della menopausa, nonché negli ingorghi del fegato, della milza e del rene. Come a tutte le droghe amare, le sono state inoltre attribuite proprietà antireumatiche e febbrifughe. Si prescrivono il decotto o l’infuso oppure la polvere.
L’impiego esterno della Verbena è forse più valido e sicuro. I decotti vengono impiegati per detergere piaghe e ferite, per fare gargarismi che purificano la bocca, tonificano le gengive e tolgono l’infiammazione delle tonsille. I cataplasmi fatti con le sommità fiorite mitigano i dolori nevralgici e quelli delle articolazioni. Si applicano sulle contusioni per far regredire il gonfiore e i travasi di liquidi.
Miti e leggende: i Romani usavano la Verbena nelle cerimonie purificatrici degli altari e per le missioni dei Feziali (Fetiales), gli ambasciatori che stringevano patti o indicevano una guerra. “Si chiamavano sagmina le verbene, cioè le erbe pure”, scriveva Festo (424 e 426 L.) “poiché venivano prelevate da un luogo santo dal console o dal pretore, quando gli ambasciatori partivano per stringere patti o indire la guerra”.
Le “verbene” per i Feziali erano prelevate dall’arx, dalla Rocca capitolina, dove al culmine di ogni mese il flamine Diale sacrificava un agnello a Giove celeste e da dove gli auguri traevano i loro auspici. «E’ evidente» commenta Renato Del Ponte (La religione dei Romani, Milano 1992, p. 158) «che la particolare sacralità della zona deriva da tale specificità di contatto col divino e le verbenae, le erbe pure che conferiscono (col tramite significativo del rex) al padre patrato la sua dignità di rappresentante dello Stato romano nelle trattative, sono portatrici di un carisma che proviene dallo stesso Giove» (Servio, Ad Aeneidem, XII, 120).
Prima della partenza per l’ambasceria si designava il pater patratus, loro portavoce: «Il Feziale così domandò a re Tullo: “Mi ordini, o re, di stipulare il patto col padre patrato del popolo albano?”. Poiché il re lo ordinava, aggiunse: “O re, ti chiedo la sacra zolla di verbena”. Il re disse: “Prendi erba pura”. Il Feziale prese dalla rocca l’erba pura. Poi domandò al re: “O re, tu mi fai messaggero regio del popolo romano dei Quiriti e con me gli arredi e i miei compagni?”. Il re rispose: Sì, purché avvenga senza danno mio e del popolo romano dei Quiriti. Il Feziale era Marco Valerio; fece padre patrato Spurio Fuso con la verbena, toccandogli il capo e i capelli» (Tito Livio, Storia di Roma, I, 24,4-6).
La delegazione era composta da due membri, di cui il primo, il pater patratus, aveva la funzione di assicurare con formula corretta il valore religioso del trattato, il secondo era il verbenarius, portatore dell’erba pura e degli arredi sacri. Gli arredi sacri, vasa, erano uno scettro e una selce custoditi nel tempio di Giove Feretrio sul Campidoglio. Lo scettro era l’immagine stessa di Giove, il suo simulacro; la selce, per mezzo della quale si stringeva il patto colpendo a morte un maiale sacrificale, era il simbolo della folgore divina. «Così il pater patratus affermava con formula solenne: “Se per il primo sarà venuto meno per pubblica deliberazione con colpevole inganno, allora tu, o Giove, in quel giorno colpisci il popolo romano, così come oggi io colpirò qui questo maiale; e tanto più fortemente colpiscilo quanto più hai forza e potenza”. Come ebbe detto ciò, percosse il maiale con la pietra di selce» (Tito Livio, op. cit., I, 24,7-9).
Greci e Romani la chiamavano Lacrime di Iside, Lacrime di Giunone, Persephonion, Demetria, Cerealis. Si diceva che chi avesse posseduto un filo d’erba con una Verbena sarebbe diventato invulnerabile. Dioscoride, e con lui molti naturalisti antichi, attribuivano alla Verbena proprietà miracolose. I Celti e i Germani la usavano nei riti religiosi e magici e la consideravano una panacea.
Qualcuna di quelle credenze è sopravvissuta nella Cristianità. In Inghilterra si diceva che fosse spuntata sul monte Calvario e perciò fosse santa, come testimonia una formula d’incantesimo che si doveva pronunciare cogliendola: “Tu sei santa, verbena, come cresci sulla terra, perché in principio sul Calvario fosti trovata. Tu hai guarito il Redentore e hai chiuso le sue piaghe sanguinanti; in nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo ti colgo” (F. Hohrt, Herba, Gratia Plena, Helsinki 1929, p. 17).
Era anche considerata un’erba pura e purificatrice, che esigeva la castità, come riferisce il Savonarola scrivendo che
«verbena manducata non permittit per septem dies coitum».
In Piemonte fino all’inizio del secolo scorso la gente del popolino credeva che sfregandosi della Verbena sul palmo della mano si sarebbe stati infallibilmente amati dalla prima persona alla quale si sarebbe stretta la mano.
In Sicilia la si invocava in diverse pratiche magiche, accompagnate dalla recita di particolari scongiuri, come quello che segue, molto popolare ancora oggi, dove è associata a santa Lucia, protettrice della vista:
Santa Lucia
nta cammira stapia
oru tagghiava.
“Matri mia!”
“Chia hai Lucia?”
“Ch’aviri matri mia, hiu na resca all’uocciu
ca nun mi fa ‘bbintari.”
“Va nta lu me uortu,
c’è bbibina e c’è finuocciu,
cu li me manu l’haiu ciantatu,
cu li me peri l’haiu scappisatu,
squagghia purpu,
squagghia pirata,
squagghia sta vina ‘nzanguinata!
(Santa Lucia
stava in una camera,
tagliava oro;
“Madre mia!”
“Che hai Lucia?”
“Che cosa debbo avere, madre mia? Ho una lisca nell’occhio
che non mi lascia in pace.”
“Va’ nel mio orto,
c’è verbena e c’è finocchio,
con le mie mani li ho piantati
con i miei piedi li ho calpestati,
squaglia il polipo,
squaglia l’impedimento,
squaglia questa vena insanguinata!)
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Distribuzione


■ autoctona ■ alloctona ■ incerta ■ scomparsa ■ assente

Caratteristiche

Relazioni con l'uomo
[ C ] C: specie di interesse alimentare e/o aromatico
[ O ] O: specie di interesse farmaceutico-officinale
[ P ] P: specie velenose - tossiche - stupefacenti - psicotrope - irritanti - fotosensibilizzanti
Biologia riproduttiva

ER (ermafrodita): specie con organi maschili e femminili riuniti nel medesimo fiore.

[ EP - BC ] EP (entomofilia): Il polline è trasportato da insetti, che vengono indotti a visitare il fiore con svariate strategie di richiamo, con o senza ricompensa; BC (barocoria): I semi relativamente pesanti, da soli o dentro i frutti, cadono per gravità a maturità o dopo un periodo di postmaturazione.

Indici di Ellenberg

Salinità: 0

L: 9; T: 5; C: 5; U: 4; R: n.d.; N: 6;

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