Dipsacus fullonum L.
(a cura di Giuseppe Laino)
Etimologia: l’epiteto del genere è la traduzione del greco dipsákos che deriva dal verbo dipsáo = “ho sete”, con riferimento al modo in cui l’acqua piovana si raccoglie in formazioni simili a coppe, originate dalle basi fogliari connate intorno al fusto e che pare abbiano la doppia funzione di costituire una riserva d’acqua piovana per piccoli uccelli e quale arma di difesa della pianta dagli insetti succhiatori di linfa i quali, nel risalire il tronco, rimangono intrappolati e annegano venendo poi demoliti da batteri, ed è probabile che questa specie benefici delle sostanze così liberate. L’epiteto specifico deriva dal latino fullo, -onis, m. = “lavandaio, lavapanni, sgrassatore di panni” [M. Valerio Marziale] e da fullonium, -ii, n. = “lavanderia, bottega dei lavandai” [Ammiano Marcellino], con riferimento all’infiorescenza della specie coltivata, però chiamata Dipsacus sativus L., che veniva utilizzata per il finissaggio della lana mediante cardatura dopo che, nella fullonica, officina (o lavanderia) del Medioevo, si era provveduto al lavaggio e alla sgrassatura.
Sinonimi: Dipsacus sylvestris Huds.
Nomi volgari: Cardo falso, Cardo dei lanaioli, Dipsaco selvatico, Scardaccione selvatico (italiano). Liguria: Petni, Rissolu, Erba serpentina; Sgarzu (Genova). Piemonte: Card servaj, Ciapa ranne. Lombardia: Garza selvadega; Garze (Como); Sgars (Brescia). Veneto: Sgarzi, Salata del diaul, Sgrafadone. Friuli: Sgarz. Emilia-Romagna: Pungion, Scarzon, Scarzun; Lambardsen, Sgaerz (Bologna); Scardazz (Piacenza). Toscana: Cardo, Cardo da lanajoli, Cardo da panni, Labbro di Venere, Lattugone, Scardinacciolo; Pungion, Scarzon (Lunigiana). Abruzzi: Candacetra; Aspersoru (Larino). Puglia: Calicantrigine. Sicilia: Cicirimigna majuri, Pettini di lupu. Sardegna: Cima de pastori.
Forma biologica e di crescita: emicriptofita/terofita scaposa.
Tipo corologico: euri-mediterraneo. Specie con areale centrato sulle coste del bacino mediterraneo, ma con prolungamenti verso nord e verso est (area della Vite).
Fenologia: fiore: VI-VIII, frutto: VII-IX, diaspora: VIII-X
Limiti altitudinali: dal piano a 1400 m di altitudine.
Abbondanza relativa e distribuzione geografica in Italia: nel nostro Paese la specie è comune in tutto il territorio continentale e insulare.
Habitus: erbacea biennale (talvolta annuale) con robusta radice a fittone. Nel primo anno produce una rosetta di foglie basali, nel secondo al centro di queste sorge il fusto eretto, alto anche fino a 2 m, fistoloso, striato, ramificato in alto e provvisto di robusti aculei lunghi 1-5 mm. Tutta la pianta è più o meno munita di aculei.
Foglie: le foglie basali sono disposte a rosetta, con breve picciolo, lunghe 30-50 cm, hanno lamina ovato lanceolata, grossolanamente dentata al margine, con la superficie normalmente glabra ma nella pagina superiore e inferiore è mollemente spinosa sulla nervatura centrale. Le foglie cauline, progressivamente più piccole, opposte, lanceolate e acute all’apice, sono connate (saldate a 2 a 2 alla base), a formare una sorta di coppa attorno al fusto.
Fiore: l’infiorescenza è un capolino ovoide, portato al termine delle ramificazioni del fusto, lungo 3-8 cm, circondato da brattee lineari lanceolate, arcuate, spesso aculeate, più lunghe del capolino. Il calice ha 5 setole sorgenti dalla corona dell’involucretto. La corolla, lunga 8-10 mm, rapidamente caduca, violacea o biancastra, è tubuloso imbutiforme, con lembo diviso in 4 lobi di cui il superiore più grande degli altri. Pagliette del ricettacolo spinose, più lunghe dei fiori. La fioritura ha inizio all'equatore dell'ovoide-ricettacolo, per poi proseguire verso i poli opposti senza tuttavia mai raggiungerli completamente.
Frutto: il frutto è un achenio angoloso, solcato, lungo 5 mm, completamente circondato da un involucretto quadrato che favorisce la disseminazione. Nel genere Dipsacus l'irrigidimento e l’allungamento delle brattee, sino a formare un uncino, assieme all’habitus simile a quello dei Cardi, rendono possibile il catapultamento degli acheni quando la pianta viene sfiorata dagli animali.
Polline: granuli pollinici monadi, di grandi dimensioni (51-100 mµ), oblati; perimetro in vista equatoriale: triangolare; triporati; esina: echinata-microechinata, eutectata. L’impollinazione è entomofila. Lo sfasamento temporale e progressivo dell'antesi è una strategia vegetale che favorisce la fecondazione.
Numero cromosomico: 2n = 16.
Sottospecie e/o varietà: nessuna.
Habitat ed ecologia: incolti, macerie, margini di strade, sponde dei fossi, di solito in terreni sassosi, calcarei e azotati.
Syntaxon (syntaxa) di riferimento: Molino-Arrhenatheretea
Life-strategy (sensu Grime & Co.): Ruderali (R).
IUCN: N.A.
Farmacopea: Il Cardo dei lanaioli contiene nella radice e nelle foglie il glucoside scabioside, sostanze tanniche, sali di potassio. Sotto il profilo dell’attività salutare questa pianta ha le virtù depurative generali dei Cardi. La radice, dal sapore amaro, un tempo veniva considerata dalla medicina popolare nelle campagne come stomachico (Fiori). In particolare la radice facilita i processi digestivi, stimola la sudorazione e la diuresi favorendo quindi l’eliminazione delle scorie: è perciò utile ai gottosi, agli artritici e ai reumatici, giova agli idropici e agli obesi, è utile nelle affezioni della pelle (dermatosi, foruncolosi, acne) che conseguono a cattivo funzionamento dell’apparato digestivo ed escretore. In alternativa alle radici possono essere utilizzate le foglie, che hanno la stessa attività.
Usi e cenni storici: Il Cardo dei lanaioli è stato utilizzato nella lavorazione della lana fin dai tempi più antichi; ne fa menzione anche Carlo Magno nei Capitolari (812 d.C.), dove raccomanda la coltivazione dei cardones nell'orto, accanto alle altre colture per la familia. Però, quando una volta si usavano i Cardi per pettinare (cardare) i tessuti, questa specie non poteva essere utilmente impiegata perché le spine (scaglie) del capolino si piegano troppo facilmente. Alle congregazioni religiose, molto probabilmente, si deve l'opera di selezione, introduzione e coltivazione di una cultivar (Dipsacus sativus) che si è poi diffusa ampiamente in Francia. Difatti la specie coltivata Dipsacus sativus (L.) Honck. (coltivata e un tempo inselvatichita nell’Italia settentrionale, ormai scomparsa), è infatti derivata dalla selezione fatta dall'uomo nei secoli sulle piante che presentavano foglie cauline spesso divise, capolini più uniformi e compatti e con squame più brevi, rigide, curve e più spinose e per questo più adatti al lavoro della garzatura.
Tale utilizzo, in Italia, portò alla coltivazione dei Cardi dalla metà del XIX secolo, ad opera di Sisto Bocci (proprietario del lanificio di Soci): si importarono semi francesi per migliorarne la qualità aumentando la dimensione del capolino. Da quel momento, per una serie di congiunture politiche che favorirono lo sviluppo di una vera e propria industria tessile in Italia, anche la connessa coltura industriale del Cardo decollò, inserendosi stabilmente nel sistema colturale del Casentino.
La coltura trovò negli anni ‘50-‘60 del secolo scorso la sua massima espansione. Il declino iniziò con l'aumento del costo della manodopera, con il mutamento degli indirizzi tessili e con la sostituzione dei “garzi” vegetali con quelli di acciaio o di plastica, più uniformi e che non richiedono un costante ricambio durante la lavorazione come accade per quelli vegetali.
I "garzi" (infruttescenze secche che venivano montate su alberini rotanti, ruote, cilindri o telai) vengono ancora oggi usati per garzare ed eliminare la borra (grasso superficiale) dalla lana per renderla più morbida e lucente, nella lavorazione dei tessuti pregiati e del tradizionale "Panno del Casentino", per ottenere il tipico "ricciolo". Il Cardo vegetale infatti, a differenza di quelli di acciaio o plastica, ha spine anche sulle pagine delle brattee e permette di ottenere una lavorazione più fine e viene preferito, nella lavorazione artigianale, anche perché si spezza in caso di eccessiva resistenza del tessuto o della fibra lasciandoli integri, invece di lacerarli.
Curosità: l’antico nome latino di questa pianta, Labrum veneris o Lavacrum veneris, “labbro di Venere” o “catino di Venere”, si riferisce probabilmente alle coppe formate dall’unione alla base delle foglie cauline, dove gli insetti che vi rimanevano intrappolati, annegavano nell’acqua piovana per poi essere demoliti dai batteri. In passato forse proprio per questa sua capacità di combattere e distruggere gli insetti, l’acqua del Cardo dei lanaioli, considerata curativa, veniva raccolta nei fusti.
Bibliografia:
AICHELE D., GOLTE-BECHTLE M., Che fiore è questo? Edizione Club degli Editori, Milano.
BONI U., PATRI G., Scoprire, riconoscere, usare le erbe, Edizione Mondolibri SpA, Milano, 2000.
CATTABIANI A., Florario (Miti, leggende e simboli di fiori e piante), Oscar Saggi Mondadori, I edizione, 1998.
DELLA BEFFA M.T., Fiori di montagna (Conoscere, riconoscere e osservare tutte le specie di fiori alpini più diffusi), Istituto Geografico De Agostini SpA, Novara, 1998.
FERRARI C., Guida pratica ai fiori spontanei in Italia, Edizione italiana, VI ristampa febbraio 2001, Camuzzi Editoriale SpA Milano, licenziataria di The Reader’s Digest Association, Inc.
HALBRITTER H., Dipsacus fullonum. In: BUCHNER R. & WEBER M. (2000 onwards). PalDat - a palynological database: Descriptions, illustrations, identification, and information retrieval.
LAUBER K., WAGNER G., Flora Helvetica (Flore illustrée de Suisse), 2ème édition, Editions Paul Haupt, 2001.
NEGRI G., Nuovo erbario figurato (Descrizione e proprietà delle piante medicinali e velenose della flora italiana), V edizione, Ulrico Hoepli, Milano1991.
www.dryades.eu
www.paldat.org
Sinonimi: Dipsacus sylvestris Huds.
Nomi volgari: Cardo falso, Cardo dei lanaioli, Dipsaco selvatico, Scardaccione selvatico (italiano). Liguria: Petni, Rissolu, Erba serpentina; Sgarzu (Genova). Piemonte: Card servaj, Ciapa ranne. Lombardia: Garza selvadega; Garze (Como); Sgars (Brescia). Veneto: Sgarzi, Salata del diaul, Sgrafadone. Friuli: Sgarz. Emilia-Romagna: Pungion, Scarzon, Scarzun; Lambardsen, Sgaerz (Bologna); Scardazz (Piacenza). Toscana: Cardo, Cardo da lanajoli, Cardo da panni, Labbro di Venere, Lattugone, Scardinacciolo; Pungion, Scarzon (Lunigiana). Abruzzi: Candacetra; Aspersoru (Larino). Puglia: Calicantrigine. Sicilia: Cicirimigna majuri, Pettini di lupu. Sardegna: Cima de pastori.
Forma biologica e di crescita: emicriptofita/terofita scaposa.
Tipo corologico: euri-mediterraneo. Specie con areale centrato sulle coste del bacino mediterraneo, ma con prolungamenti verso nord e verso est (area della Vite).
Fenologia: fiore: VI-VIII, frutto: VII-IX, diaspora: VIII-X
Limiti altitudinali: dal piano a 1400 m di altitudine.
Abbondanza relativa e distribuzione geografica in Italia: nel nostro Paese la specie è comune in tutto il territorio continentale e insulare.
Habitus: erbacea biennale (talvolta annuale) con robusta radice a fittone. Nel primo anno produce una rosetta di foglie basali, nel secondo al centro di queste sorge il fusto eretto, alto anche fino a 2 m, fistoloso, striato, ramificato in alto e provvisto di robusti aculei lunghi 1-5 mm. Tutta la pianta è più o meno munita di aculei.
Foglie: le foglie basali sono disposte a rosetta, con breve picciolo, lunghe 30-50 cm, hanno lamina ovato lanceolata, grossolanamente dentata al margine, con la superficie normalmente glabra ma nella pagina superiore e inferiore è mollemente spinosa sulla nervatura centrale. Le foglie cauline, progressivamente più piccole, opposte, lanceolate e acute all’apice, sono connate (saldate a 2 a 2 alla base), a formare una sorta di coppa attorno al fusto.
Fiore: l’infiorescenza è un capolino ovoide, portato al termine delle ramificazioni del fusto, lungo 3-8 cm, circondato da brattee lineari lanceolate, arcuate, spesso aculeate, più lunghe del capolino. Il calice ha 5 setole sorgenti dalla corona dell’involucretto. La corolla, lunga 8-10 mm, rapidamente caduca, violacea o biancastra, è tubuloso imbutiforme, con lembo diviso in 4 lobi di cui il superiore più grande degli altri. Pagliette del ricettacolo spinose, più lunghe dei fiori. La fioritura ha inizio all'equatore dell'ovoide-ricettacolo, per poi proseguire verso i poli opposti senza tuttavia mai raggiungerli completamente.
Frutto: il frutto è un achenio angoloso, solcato, lungo 5 mm, completamente circondato da un involucretto quadrato che favorisce la disseminazione. Nel genere Dipsacus l'irrigidimento e l’allungamento delle brattee, sino a formare un uncino, assieme all’habitus simile a quello dei Cardi, rendono possibile il catapultamento degli acheni quando la pianta viene sfiorata dagli animali.
Polline: granuli pollinici monadi, di grandi dimensioni (51-100 mµ), oblati; perimetro in vista equatoriale: triangolare; triporati; esina: echinata-microechinata, eutectata. L’impollinazione è entomofila. Lo sfasamento temporale e progressivo dell'antesi è una strategia vegetale che favorisce la fecondazione.
Numero cromosomico: 2n = 16.
Sottospecie e/o varietà: nessuna.
Habitat ed ecologia: incolti, macerie, margini di strade, sponde dei fossi, di solito in terreni sassosi, calcarei e azotati.
Syntaxon (syntaxa) di riferimento: Molino-Arrhenatheretea
Life-strategy (sensu Grime & Co.): Ruderali (R).
IUCN: N.A.
Farmacopea: Il Cardo dei lanaioli contiene nella radice e nelle foglie il glucoside scabioside, sostanze tanniche, sali di potassio. Sotto il profilo dell’attività salutare questa pianta ha le virtù depurative generali dei Cardi. La radice, dal sapore amaro, un tempo veniva considerata dalla medicina popolare nelle campagne come stomachico (Fiori). In particolare la radice facilita i processi digestivi, stimola la sudorazione e la diuresi favorendo quindi l’eliminazione delle scorie: è perciò utile ai gottosi, agli artritici e ai reumatici, giova agli idropici e agli obesi, è utile nelle affezioni della pelle (dermatosi, foruncolosi, acne) che conseguono a cattivo funzionamento dell’apparato digestivo ed escretore. In alternativa alle radici possono essere utilizzate le foglie, che hanno la stessa attività.
Usi e cenni storici: Il Cardo dei lanaioli è stato utilizzato nella lavorazione della lana fin dai tempi più antichi; ne fa menzione anche Carlo Magno nei Capitolari (812 d.C.), dove raccomanda la coltivazione dei cardones nell'orto, accanto alle altre colture per la familia. Però, quando una volta si usavano i Cardi per pettinare (cardare) i tessuti, questa specie non poteva essere utilmente impiegata perché le spine (scaglie) del capolino si piegano troppo facilmente. Alle congregazioni religiose, molto probabilmente, si deve l'opera di selezione, introduzione e coltivazione di una cultivar (Dipsacus sativus) che si è poi diffusa ampiamente in Francia. Difatti la specie coltivata Dipsacus sativus (L.) Honck. (coltivata e un tempo inselvatichita nell’Italia settentrionale, ormai scomparsa), è infatti derivata dalla selezione fatta dall'uomo nei secoli sulle piante che presentavano foglie cauline spesso divise, capolini più uniformi e compatti e con squame più brevi, rigide, curve e più spinose e per questo più adatti al lavoro della garzatura.
Tale utilizzo, in Italia, portò alla coltivazione dei Cardi dalla metà del XIX secolo, ad opera di Sisto Bocci (proprietario del lanificio di Soci): si importarono semi francesi per migliorarne la qualità aumentando la dimensione del capolino. Da quel momento, per una serie di congiunture politiche che favorirono lo sviluppo di una vera e propria industria tessile in Italia, anche la connessa coltura industriale del Cardo decollò, inserendosi stabilmente nel sistema colturale del Casentino.
La coltura trovò negli anni ‘50-‘60 del secolo scorso la sua massima espansione. Il declino iniziò con l'aumento del costo della manodopera, con il mutamento degli indirizzi tessili e con la sostituzione dei “garzi” vegetali con quelli di acciaio o di plastica, più uniformi e che non richiedono un costante ricambio durante la lavorazione come accade per quelli vegetali.
I "garzi" (infruttescenze secche che venivano montate su alberini rotanti, ruote, cilindri o telai) vengono ancora oggi usati per garzare ed eliminare la borra (grasso superficiale) dalla lana per renderla più morbida e lucente, nella lavorazione dei tessuti pregiati e del tradizionale "Panno del Casentino", per ottenere il tipico "ricciolo". Il Cardo vegetale infatti, a differenza di quelli di acciaio o plastica, ha spine anche sulle pagine delle brattee e permette di ottenere una lavorazione più fine e viene preferito, nella lavorazione artigianale, anche perché si spezza in caso di eccessiva resistenza del tessuto o della fibra lasciandoli integri, invece di lacerarli.
Curosità: l’antico nome latino di questa pianta, Labrum veneris o Lavacrum veneris, “labbro di Venere” o “catino di Venere”, si riferisce probabilmente alle coppe formate dall’unione alla base delle foglie cauline, dove gli insetti che vi rimanevano intrappolati, annegavano nell’acqua piovana per poi essere demoliti dai batteri. In passato forse proprio per questa sua capacità di combattere e distruggere gli insetti, l’acqua del Cardo dei lanaioli, considerata curativa, veniva raccolta nei fusti.
Bibliografia:
AICHELE D., GOLTE-BECHTLE M., Che fiore è questo? Edizione Club degli Editori, Milano.
BONI U., PATRI G., Scoprire, riconoscere, usare le erbe, Edizione Mondolibri SpA, Milano, 2000.
CATTABIANI A., Florario (Miti, leggende e simboli di fiori e piante), Oscar Saggi Mondadori, I edizione, 1998.
DELLA BEFFA M.T., Fiori di montagna (Conoscere, riconoscere e osservare tutte le specie di fiori alpini più diffusi), Istituto Geografico De Agostini SpA, Novara, 1998.
FERRARI C., Guida pratica ai fiori spontanei in Italia, Edizione italiana, VI ristampa febbraio 2001, Camuzzi Editoriale SpA Milano, licenziataria di The Reader’s Digest Association, Inc.
HALBRITTER H., Dipsacus fullonum. In: BUCHNER R. & WEBER M. (2000 onwards). PalDat - a palynological database: Descriptions, illustrations, identification, and information retrieval.
LAUBER K., WAGNER G., Flora Helvetica (Flore illustrée de Suisse), 2ème édition, Editions Paul Haupt, 2001.
NEGRI G., Nuovo erbario figurato (Descrizione e proprietà delle piante medicinali e velenose della flora italiana), V edizione, Ulrico Hoepli, Milano1991.
www.dryades.eu
www.paldat.org